Come gestire la paura e trasformarla in una risorsa

paura

Paura: quando ci paralizza

La paura viene il più delle volte vista come qualcosa di negativo. Tutti noi siamo stati “paralizzati” dalla paura, questa importantissima emozione. Magari ci succede anche di preoccuparci per ipotetici scenari che non accadranno mai, ma che comunque condizionano e logorano il nostro presente.

Ma se invece che renderci vittime la paura ci salvasse?

È questa la prospettiva sulla quale ci invita a riflettere Selene Calloni Williams, psicologa e antropologa, oltre che autrice di numerosi best-seller.

Viviamo in un mondo simbolico. Simbolo viene dal verbo greco “sym-ballo” che letteralmente significa “mettere insieme”, quindi ecco che tutti gli eventi così come tutte le nostre azioni, in quanto simboli, hanno come fine quello di unirci ad un significato nascosto.

L’ingresso nella società però corrompe i simboli. La paura stessa, di base, è un’energia del sacro, una forza legata all’istinto di sopravvivenza. Ma nel momento in cui nella società nasce l’attaccamento, la paura si deteriora e si trasforma in panico, rendendo gli uomini sue vittime.

La vera natura del simbolo

E come si può risalire alla vera natura del simbolo?

Con il rito, senza il quale non potremmo “pulirci” e aprirci al mito naturale. Se non si porta a compimento il rito l’uomo rompe un equilibrio, un ordine universale, e sarà chiamato a rimettere le cose al loro posto. Questa chiamata arriva a noi sotto forma di squilibri, infelicità, disagi, disturbi.

Bisogna dare una parte di sé, rispondere a questa chiamata, altrimenti questa diventerà sempre più forte. Ma come sottolinea Selene:

“Non si può andare oltre la mente con la mente”.

Quando entriamo in contatto con un oggetto, una persona, un evento, ci sono due possibili scenari: potremmo soffermarci su quello che è il significato mentale, la mente che si unisce al conosciuto. Questo è dovuto al fatto che l’essere umano ha nel profondo un bisogno di controllare la realtà, ma questa forma di potere sulla realtà può essere esercitata solo su oggetti materiali. L’esempio più lampante è l’atto del mangiare: quando mangiamo qualcosa compiamo un gesto straordinario, traghettiamo una vita dal mondo visibile a quello invisibile, e nel mentre noi stessi compiamo un viaggio. Ma non ci meravigliamo affatto di tale viaggio, non ce ne rendiamo proprio conto né abbiamo consapevolezza. È la paura che, convertita in panico e attaccamento, fa sì che tutto ciò che viviamo venga razionalizzato dalla nostra mente, finendo così per vedere il cibo come zuccheri e proteine, piuttosto che come un evento straordinario.

Nel secondo scenario decidiamo, come individui consapevoli, di abbandonarci totalmente e percepire quello che è il significato naturale e divino dell’oggetto. Vedere, in altre parole, la sua anima, il suo daimon autentico. Il daimon è il significato che si dà alle cose. Siamo noi a deciderlo, nel momento in cui ci chiediamo “Voglio continuare ad avere il controllo, o voglio smettere di avere paura e lasciarmi andare?”

La prospettiva immaginale: prospettiva del sacro, dell’unione

Nello Yoga Sciamanico del Mantra Madre, si afferma che “tutto è immagine, tutto è apparizione”, e il primo principio di realtà immaginale asserisce che tutto ciò che è reale porta in sé l’immagine dell’unione tra uomo e divino. Ciò che non è reale, invece, è ciò che viene creato dalla mente che si unisce a sé stessa. Avere paura per le cose che non sono reali è una preoccupazione futile.

La prospettiva immaginale è una prospettiva sacra proprio perché porta con sé una visione duale, di unione, non di divisione e separazione, come al contrario avviene nella società patricentrica e in quella matricentrica. La società nasce dalla separazione tra ciò che è visibile e ciò che non lo è. Come disse Ungaretti:

“L’atto di civiltà è un atto di prepotenza umana sulla natura; è un atto contro natura.”

Un rito prima di addormentarci

Perciò, per riportare il simbolo corrotto alla sua natura autentica, Selene suggerisce un rito da compiere prima di addormentarci per lavorare sulla paura.

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La prima cosa da fare è dire a noi stessi “Grazie a questa paura che porto in me con molto amore io riuscirò…” , esprimendo uno dei desideri più grandi che abbiamo.

La seconda parte consiste nel chiedere al nostro spirito guida di condurci durante il sonno nei luoghi dell’underworld, ovvero quelle regioni della nostra psiche dove può avvenire la trasformazione della paura in forza.

Non farsi limitare dalla paura ma trasformarla in una risorsa per la realizzazione del sé. Una riflessione che Selene Calloni Williams, guida filosofica e spirituale di formazione sciamanica e immaginale, ha approfondito in un corso che puoi rivedere cliccando qui!

La psicologa ci ha aiutato ad individuare il percorso necessario per ritrovare la luce nella nostra vita, per raggiungere l’eudemonia (dal greco eu e dàimon, spirito-guida). L’eudemonia non è una semplice felicità, ma la felicità quale scopo fondamentale della nostra vita. La felicità vera, che crea una vita realizzata e gioiosa. Punto focale secondo Selene è questo: l’eudemonia non è qualcosa di astratto, qualcosa da spettare nell’aldilà, qualcosa a cui aspirare. L’eudemonia è possibile ora, in questo mondo, dobbiamo solo sperimentare la bellezza di “essere in compagnia di un buon demone”, il daimon. Non bisogna avere paura, perché chi ha paura si distrae, non è presente, non è viva. È necessario ristabilire il legame con la natura, connettersi maggiormente alla terra, così da affidarle le nostre ansie e le nostre paure. Unire ciò che è stato separato.

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