Il Problem Solving Strategico® rappresenta la tecnologia avanzata per trovare soluzioni realmente efficaci ed efficienti a problemi complessi.
Il Problem Solving Strategico® (PSS) è un modello sviluppato in maniera originale da Giorgio Nardone e rappresenta la tecnologia avanzata per trovare soluzioni realmente efficaci ed efficienti a problemi complessi.
Questa metodologia si applica per definizione a qualunque tipo di problema, con particolare successo nel contesto manageriale, dato che chi gestisce gruppi di lavoro ha bisogno di sviluppare la capacità di risolvere in tempi brevi situazioni a volte molto complesse.
Attraverso la tecnica degli autoinganni strategici, è possibile spingersi oltre le solite forme di ragionamento nell’analisi di un problema e accedere alle risorse della nostra mente altrimenti sedate, facendo sì che l’inventiva personale e la creatività trovino libero spazio di espressione.
Quando ci troviamo di fronte a una difficoltà – sia essa personale, relazionale o professionale – il primo impulso è utilizzare una strategia che ci sembra produttiva, magari perché ha funzionato nel passato per un problema simile. Se la strategia funziona, la difficoltà si risolve in breve tempo.
Se la strategia non funziona come ci saremmo aspettati, di solito continuiamo ad insistere ma, più lo facciamo, più la difficoltà iniziale si complica, diventando un vero e proprio problema strutturato. In pratica, le “tentate soluzioni” messe in atto finiscono per alimentare il problema e determinarne così la persistenza.
Il problem solver si focalizza fin dal principio sul rompere questo circuito vizioso che si è venuto a stabilire tra le tentate soluzioni e la persistenza del problema, lavorando sul presente piuttosto che sul passato, su “come funziona” il problema, piuttosto che sul “perché esiste”, sulla ricerca delle “soluzioni” piuttosto che sulle “cause”.
Scopo ultimo, quindi, è spostare il punto di osservazione rigido – le “tentate soluzioni” – verso una prospettiva più elastica e funzionale, con maggiori possibilità di scelta.
Non esiste una “unica” e “vera” realtà, ma tante quante sono le nostre interazioni con tutto ciò che ci circonda: “ognuno costruisce la realtà che poi subisce”.
Di fronte ad una trappola mentale nella quale ci siamo irrigiditi, sono i 7 passi da seguire:
1. Definire il problema nei termini più concreti e descrittivi possibili
L’accento va posto su come il problema si presenti ora, in questo preciso momento, e su come funzioni:
Cos’è effettivamente il problema? Chi ne è coinvolto? Dove si verifica? Quando appare? Come funziona?
Nel ridefinire il problema in termini concreti, è utile immaginare come potrebbero percepire il problema altre persone che conosciamo bene, assumendo il loro punto di vista.
Questo apre la strada ad una percezione diversa e più ampia, dando al problema delle nuove prospettive.
Nel caso invece in cui l’obiettivo è apportare un miglioramento e non la risoluzione a un problema vero e proprio, come ad esempio aumentare il livello di una performance, possiamo partire dall’obiettivo da raggiungere, per poi analizzare le carenze da superare: mancanza del know-how necessario per il raggiungimento dell’obiettivo, presenza di un eventuale ostacolo, etc.
Dobbiamo poi gestite le resistenze, generate implicitamente, al cambiamento che vogliamo raggiungere.
Iniziando a lavorare sul problema dichiarato, possiamo procedere alla sua ridefinizione in termini concreti.
La definizione del problema è uno dei passi sul quale dobbiamo spendere più tempo, perché permette di risparmiare molto tempo in seguito. Come diceva Napoleone “Siccome ho fretta, vado molto piano.”
2. Concordare l’obiettivo
Una volta definito il problema, il passo successivo è quello di concordare (sempre in termini concreti) quei cambiamenti che, una volta realizzati, farebbero affermare con assoluta certezza che esso è stato risolto. Insomma, partiamo dall’identificazione problema e stabiliamo l’obiettivo desiderato.
Va definito cosa effettivamente rappresenti il cambiamento risolutivo rispetto al problema, quale sarebbe la realtà concreta che farebbe ritenere l’obiettivo raggiunto. In altri termini, cosa è necessario toccare, vedere, sentire e provare affinché possiamo dire effettivamente che il problema sia risolto.
È necessario dedicare un significativo spazio di tempo anche a questa fase perché, anche qui, una buona definizione permette di risparmiare molto tempo in seguito.
Quando si persegue uno scopo condiviso con più persone, il concordare un obiettivo voluto da tutti svolge anche il ruolo di consolidare la squadra come team di lavoro, creando un gruppo allineato allo scopo da raggiungere.
L’intento è sviluppare un forte spirito di collaborazione e coesione rispetto allo scopo desiderato: questo è un primo importante passo per ridurre eventuali resistenze al cambiamento che uno di noi, o il gruppo, potrebbe mettere in atto, consciamente o inconsciamente, se si sentisse diretto e non partecipante alla costruzione delle soluzioni.
3. Valutare tutte le soluzioni tentate fino ad ora e tutti i tentativi fallimentari messi in atto allo stesso scopo
L’analisi di tutte le soluzioni tentate per risolvere il problema senza successo non è casuale. Cos’è, infatti, che mantiene alimentato un problema se non il suo tentativo fallimentare di combatterlo?
Detto in altri termini, sono proprio le tentate soluzioni che abbiamo messo in atto ad alimentare il problema che vorremmo risolvere.
Quindi concentrare l’attenzione sui tentativi fallimentari messi in atto per raggiungere l’obiettivo prefissato libera dalla tendenza a sforzarci attivamente di trovare soluzioni senza prima aver indagato su tutto ciò che non funziona.
Dobbiamo valutare se la soluzione che sembra buona può trasformarsi poi nel suo contrario.
Questo ci permette di:
a) Individuare cosa non fare, poiché non ha funzionato e orientare la nostra capacità di progettare una soluzione verso delle svolte alternative che possono essere risolutive.
b) Mettere in evidenza ciò che ha funzionato bene fino ad ora. Se troviamo delle soluzioni che sono state efficaci, saremo in grado di valutare se esse sono riproducibili nella presente situazione.
4. La tecnica del come peggiorare
Per aiutarci in questo processo, è utile fare ricorso alla tecnica “del come peggiorare”.
Essa consiste nel rispondere alla seguente domanda: “Se volessi far peggiorare ulteriormente la situazione invece di migliorarla, come potrei fare?” per poi descrivere tutte le possibili modalità, sempre espresse in termini precisi e concreti.
Questo gioca un ruolo importantissimo nella risoluzione, in quanto ha l’effetto di creare un’avversione verso tutte le possibili azioni fallimentari compiute in precedenza ed accende la consapevolezza che le tentate soluzioni hanno mantenuto vivo il problema e che il cambiamento è ineluttabile, creando una forte leva motivazionale propulsiva.
5. La tecnica dello scenario oltre il problema
Al fine di facilitare la risoluzione del problema si fa ricorso alla tecnica di strategia immaginare nei dettagli lo scenario che si presenterebbe al di là del problema, come se il problema sia pienamente risolto o, nel caso di un miglioramento da ottenere, una volta che l’obiettivo prefissato fosse stato completamente raggiunto.
In altri termini, dobbiamo convincere la nostra mente a immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale, dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
L’immaginazione viene lasciata libera di vedere lo scenario, per poi in un momento successivo selezionare gli aspetti realizzabili concretamente.
Questo aiuta anche a farci vedere quali sarebbero gli effetti collaterali indesiderati del successo del nostro progetto, che vanno gestiti in anticipo.
6. La tecnica dello scalatore
Anche il viaggio più lungo comincia dal primo passo.
Il passo successivo consiste nell’applicare la strategia ideata finora concentrandosi sul più piccolo, ed apparentemente innocente, intervento da realizzare; questo sarà seguito dal secondo, e così via. Poiché spesso c’è una difficoltà nel capire quale sia il primo passo da compiere, si fa ricorso alla tecnica dello scalatore.
In sostanza, dobbiamo ragionare come farebbe uno scalatore che ha l’intento di raggiungere la vetta di una montagna. Invece di partire dalla base della montagna, nello studio del percorso da seguire partiamo dalla vetta e procediamo a ritroso fino al punto di partenza.
Questo serve ad evitare di progettare dei percorsi fuorvianti rispetto all’obiettivo da raggiungere, permettendo di individuare il percorso minimo concretamente necessario alla risoluzione del problema.
In altri termini, l’obiettivo principale viene frazionato in una serie di stadi, o micro-obiettivi da conseguire, che, tuttavia, prendono avvio dal punto di arrivo che si vuole raggiungere – l’obiettivo – e tornano indietro fino al punto di partenza – il problema.
7. Aggiustare progressivamente il tiro
Se il problema fosse complesso a tal punto da richiedere non una singola soluzione, ma un insieme di soluzioni in sequenza, è fondamentale non affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece ad affrontare quello più accessibile sul momento.
Una volta risolto il primo, si passa al secondo e cosi’ via, mantenendo però fin dall’inizio la visione della globalità e delle possibili interazioni fra le concatenazioni dei problemi.
L’intento è quello di aggiustare progressivamente il tiro, tenendo sempre bene a mente dove vogliamo arrivare in concreto, così da sapere quando ci siamo arrivati e agendo in modo dinamico per far fronte a tutti i cambiamenti che si presentano via via fino a giungere alla soluzione stabilita.
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