
Destino, Disobbedienza e Desideri: come smettere di dire “Se avessi…”
A cura di Life Strategies Quante volte iniziamo una frase con “Se…”. “Se avessi scelto un’altra facoltà…”, “se avessi
A cura di Life Strategies Quante volte iniziamo una frase con “Se…”. “Se avessi scelto un’altra facoltà…”, “se avessi
A cura di Life Strategies A tutti noi capita di vivere situazioni di conflitto, che sia nella vita di
A cura di Life Strategies La paura di farcela: a ben pensarci, questa espressione è un paradosso. Coltivare e
A cura di Life Strategies “Non vali abbastanza”. Quando proviamo a intraprendere un cambiamento, a esprimerci liberamente o a
A cura di Life Strategies Spesso sentiamo parlare dell’epoca in cui viviamo come di un periodo ampiamente dominato da
A cura di Life Strategies Quando decidiamo di affrontare e superare i nostri limiti interiori, di guardare in faccia
A cura di Life Strategies In un precedente articolo, abbiamo analizzato alcune dinamiche relative allo stress e al modo
A cura di Life Strategies Non c’è persona intorno a noi che non ci dica quanto sia importante gestire
“Il futuro dell’individuo, infatti, non esiste: certamente c’è, nel senso che tutti noi abbiamo del tempo da vivere, ma fino a quando non diventa presente non assume alcuna forma percepibile, né nell’Aldiquà né nell’Aldilà.
A cura di Life Strategies Quante volte iniziamo una frase con “Se…”. “Se avessi scelto un’altra facoltà…”, “se avessi aspettato a sposarmi e ad avere figli…”, “se avessi tentato un’esperienza all’estero…”. La tentazione di interrogarsi sulle nostre scelte e su cosa ci ha fatto deviare dai nostri sogni è forte. Sembra quasi che un fattore esterno condizioni la nostra libertà. Ma, forse, questa convinzione ci aiuta solo a evitare di ammettere che siamo stati noi stessi a permettere che le cose andassero in un certo modo. I convincimenti del Destino Durante una delle straordinarie giornate trascorse con Igor Sibaldi, abbiamo scoperto che siamo proprio noi, per convenzione, necessità, pressioni familiari o paura, a compiere certe scelte, attribuendole a un Destino indefinito. Questo accade perché siamo stati educati al “dover essere”. E ciò non succede solo a chi non ha un talento spiccato: riguarda tutti noi. Lo stesso Igor, da giovane, ha trascorso dieci anni a lavorare come traduttore, mentre il suo vero sogno era scrivere. Durante quel periodo si sentiva mediamente infelice, ma quando finalmente si è dedicato alla scrittura, improvvisamente una serie di circostanze favorevoli si sono allineate. Perché? “Perché stavo facendo davvero ciò che mi piaceva.” Cosa ci piace davvero? Mentre il senso del dovere è chiaro e diffuso, il senso del desiderio è molto più complesso da comprendere, soprattutto da adulti. Il desiderio funziona solo quando smette di essere una flebile speranza (tipica di chi tentenna) o un’illusione (tipica di chi non ripone nemmeno la speranza che qualcosa possa effettivamente capitare), e diventa libertà: la libertà di desiderare. Ma come facciamo a riconoscere un vero Desiderio, se spesso ci accontentiamo di ciò che è a portata di mano? Dalla reazione fisica che esso genera: il sorriso, irresistibile segnale di felicità autentica. Un errore comune è confondere il desiderio con l’invidia. L’invidia, al contrario, non genera sorrisi ma frustrazione. È un “disturbo” della visione: invece di guardare ciò che ci piace davvero, ci ritroviamo a desiderare ciò che vedono gli altri, smettendo di vedere il mondo con i nostri occhi. E dopo anni di questo meccanismo, ci rendiamo conto che la vita che viviamo non è la nostra. Disobbedienza, scoperta e desideri per superare il Destino Gli ostacoli che ci impediscono di desiderare sono numerosi: la tecnologia, la pubblicità, l’odio. Cosa aiuta, invece, a desiderare? Un esempio illuminante è Pinocchio. Lui non smette mai di desiderare, non si lascia influenzare, nemmeno dalla Fata Turchina o dal Grillo Parlante. E alla fine compie un miracolo, proprio perché non smette mai di “vedere oltre”. Per desiderare serve anche un pizzico di Disobbedienza e coraggio: la capacità del cuore di ampliarsi, la volontà di vedere oltre. Dall’epoca di Darwin in poi abbiamo premiato lo spirito di adattamento, ma per creare qualcosa di nuovo – che è il vero significato della creatività – occorre sentire la mancanza di qualcosa e avere il coraggio di disobbedire a noi stessi. Quando iniziamo a farlo, scopriamo aspetti di noi che non avevamo mai visto prima. “Quello non sono più io, sono più di me.” Igor Sibaldi Igor Sibaldi sarà protagonista dei prossimi corsi di Life Strategies. Scopri tutti i dettagli, cliccando qui!
A cura di Life Strategies A tutti noi capita di vivere situazioni di conflitto, che sia nella vita di coppia, in famiglia o sul posto di lavoro. La via che troviamo più agevole è, spesso, sottrarci a un lungo dibattito, che può essere anche esasperante, e giungere il prima possibile a un compromesso, pur di non lasciare aperto un confronto. Ciò è riconducibile anche al fatto che per molti di noi il concetto stesso di negoziazione ha in sé una connotazione negativa. In maniera più o meno inconscia, associamo questa parola ai concetti di conflittualità, di inganno, persino di prevaricazione basata su un utilizzo astuto della dialettica o delle nostre capacità di convincimento. In realtà, questo termine può – e dovrebbe – assumere una sfumatura decisamente più positiva: l’obiettivo di ogni confronto – e della negoziazione che ne deriva – è trasformare possibili contrasti in collaborazione, azzerare il conflitto e convertirlo in accordo. Secondo il Professor Giorgio Nardone, la negoziazione si basa sull’utilizzo di tecniche di problem solving e persuasione. Lungi dall’essere assimilabile ad azioni derivanti da atti manipolatori, essa è una delle arti più antiche, dato che l’essere umano la pratica da millenni: infatti, è proprio sul confronto di opinioni divergenti, e sul trovare un punto di convergenza tra punti di vista diversi, che si fondano molti degli aspetti costitutivi della nostra società. Sedersi al tavolo negoziale Il confronto, e il suo possibile esito positivo, si basano su un assunto fondamentale: essere disposti a sedersi al tavolo negoziale. Secondo Giorgio Nardone, esso “non è un luogo fisico, ma piuttosto una predisposizione mentale di tutti i soggetti” chiamati a risolvere il conflitto. Infatti, non è un caso se la stragrande maggioranza dei confronti fallisce non per un’errata comunicazione, ma per “l’assenza di desiderio nel trovare un accordo”. La negoziazione, inoltre, deve avvenire all’interno di confini chiari e prestabiliti: non rispettarli significa generare nuovi livelli di conflittualità, che, a loro volta, richiedono ulteriori confronti e approfondimenti. Inoltre, l’obiettivo di ogni confronto è trovare una soluzione, non individuare il colpevole, né stabilire chi ha ragione. Percepire, ascoltare e valorizzare la controparte per risolvere i conflitti Per iniziare a negoziare, dobbiamo metterci nella condizione di percezione dell’altro. Dobbiamo, cioè, fargli sentire che riteniamo la sua percezione ragionevole e aggiungere al suo punto di vista ulteriori spunti e riflessioni. La prospettiva aggiuntiva non deve essere mai contraddittoria, mai un braccio di ferro, ma un arricchimento delle argomentazioni altrui. È questo procedere per step e in maniera incrementale che consente di riorientare, insieme i punti, di vista e giungere al punto in cui essi coincidono o, almeno, possono coesistere. Secondo Giorgio Nardone, infatti, “gli accordi spesso non consistono nel raggiungere esclusivamente ciò che vogliamo, ma nel costruire insieme all’altro una soluzione alternativa che non avevamo preso in considerazione”. Altro ingrediente indispensabile è la capacità di controllare le proprie emozioni. Anche lo sguardo, la postura, la comunicazione non verbale sono aspetti fondamentali per il buon esito di qualsiasi negoziazione. Quando due persone di eguale forza si incontrano per negoziare, se una assume un fare assertivo e uno sguardo muscolare, l’altra reagirà per istinto mettendosi sulla difensiva e generando un’escalation simmetrica. Qual è il rischio peggiore che si corre in una negoziazione? È il giudizio implicito, che si determina quando la negoziazione non ha termini chiari e definiti e al di sotto della coscienza si crea un’idea dell’interlocutore. È il momento in cui scatta la prima psicotrappola: pensare che l’altro farebbe la stessa cosa che faremmo noi al suo posto. L’autovalutazione e la regola relazionale Altro presupposto alla base di una negoziazione di successo è la regola relazionale, secondo la quale prima si dà e poi si chiede. Infatti, la prima cosa da evitare è mettere la controparte nella condizione di credere che stiamo pretendendo qualcosa, come se fosse un nostro diritto. E ciò vale anche nelle situazioni in cui c’è un evidente disequilibrio di potere, come tra dipendente e titolare quando si richiede un aumento. Spesso siamo portati a pensare che il semplice fatto di aver passato alcuni anni all’interno dell’azienda sia sufficiente per ottenere una maggiorazione dello stipendio. Se ciò può essere vero a livello legale o contrattuale, è altrettanto indubbio che la dinamica che si instaura in casi come questo è di tipo relazionale. Per questo, ancora prima di richiedere l’aumento è importante sottolineare quali sono stati i risultati concreti che siamo riusciti a produrre all’interno del team o a livello aziendale. Quando riusciamo ad autovalutarci, infatti, assumiamo una posizione negoziale più forte perché, sicuri degli obiettivi che abbiamo raggiunto, riusciamo anche a dimostrarli e ad utilizzarli come leva per aprire un confronto che non sia unidirezionale, ma un momento in cui si aprono porte per un processo di ulteriore miglioramento condiviso. Continueremo a parlare di dialogo e cambiamento strategico, di psicotrappole e di scienza della performance in uno dei prossimi corsi con il professor Nardone. Scopri gli appuntamenti di cui sarà protagonista cliccando qui.
A cura di Life Strategies La paura di farcela: a ben pensarci, questa espressione è un paradosso. Coltivare e sviluppare relazioni sane, avere successo nello studio e nel lavoro, crescere e fissare nuovi obiettivi che ci motivino e spingano a dare il meglio di noi dovrebbero essere fonte di gratificazione e rappresentare uno step importante per la nostra crescita. Com’è possibile, allora, che, una volta arrivati a ridosso del traguardo, veniamo colti dalla paura di superarlo? La nikefobia e le sue varianti Come sottolinea il prof. Giorgio Nardone, “per molti decenni si è parlato di nikefobia, la paura della vittoria, solo in ambito di scienza dell’alta prestazione”. Con questo termine si faceva riferimento, cioè, ad atleti, artisti, top manager e a tutti quei professionisti a cui vengono sempre richieste performance di alto livello. In realtà, quello della nikefobia è un fenomeno decisamente più diffuso, che riguarda il rapporto con noi stessi, con gli altri e con il mondo. Ciò accade perché la paura della vittoria ha a che fare con un limite che ognuno di noi può decidere di costruire per non soffrire: “è come se, in anticipo, intuissimo emotivamente, più che razionalmente, che il successo potrebbe essere pericoloso”. La nikefobia può manifestarsi in diverse forme. Il prof. Giorgio Nardone, nell’ambito dei suoi studi su questo tema, ne ha individuate alcune tipologie ricorrenti: quella in cui la propria vittoria potrebbe causare sofferenza a una persona cara. Ciò avviene quando accanto a noi c’è qualcuno che ha sempre desiderato raggiungere un determinato obiettivo senza mai riuscirci. Nel caso in cui fossimo noi ad avere successo in quello stesso ambito, potremmo causare un dolore profondo a quella persona. È il caso di una promozione a lavoro o di un voto a un esame universitario. Il meccanismo che scatta in questi casi non è intenzionale o consapevole. È un’emozione che si sviluppa a un livello inconscio. È una sorta di sofferenza acuta, perché l’altro sente – anche se non lo esprime – che noi siamo riusciti laddove lui ha sempre fallito. La paura di diventare grandi. Presente soprattutto nei giovani, riguarda tutte le circostanze in cui un successo personale, o professionale, implica l’assumersi un maggior grado di responsabilità e un più rilevante carico psicologico. Ciò avviene, per esempio, quando si sta per abbandonare il nido familiare. In situazioni come queste, il cambiamento può generare forti resistenze: alla maggiore indipendenza corrisponde la mancanza della figura “garante” dei genitori, che non svolgono più mansioni pratiche per conto dei propri figli e che smettono di decidere per loro. Allo stesso modo, anche una promozione sul posto di lavoro potrebbe diventare una prospettiva non più auspicabile. O laurearsi, pur essendo studenti brillanti, diventa un problema perché significherebbe abbandonare l’ambito accademico, in cui si sono ottenuti ottimi risultati, per tuffarsi nel mercato del lavoro, che, oltre ad essere incerto, è anche totalmente nuovo. In situazioni come queste il peso della vittoria si annida proprio nella responsabilità: quando il cambiamento è “epocale”, tutto ciò che ne deriva viene percepito come scomodo, pericoloso o troppo grande da affrontare. La paura degli iper-perfezionisti, o più in generale di chi cerca di eccellere in tutto. Attitudine che può degenerare in uno stato di iper-controllo maniacale, come nella gestione degli spazi intimi. Il problema è che, nel tentativo di dare il massimo, gli iper-perfezionisti si spingono oltre ogni limite, fino allo sfinimento. In questo caso, è il cervello ad intervenire, attraverso una reazione atavica, legata al paleoncefalo, la parte più antica e istintiva del nostro sistema nervoso. Il cervello ci blocca per non permettere al nostro corpo, che viene sottoposto ad uno stress performativo costante, di raggiungere il completo esaurimento di tutte le risorse che abbiamo a disposizione. Sbagliare per superare la paura di farcela Come possiamo, dunque, superare la paura di farcela? Imparando ad osare, mettendoci nella condizione di correre il rischio di sbagliare, perché senza errori non diventiamo mai davvero capaci. L’errore può essere costruttivo, insegnarci cose che ancora non sapevamo di noi, mostrarci dei limiti, ma anche indicarci quel è la giusta direzione da seguire. Quante grandi scoperte scientifiche sono avvenute solo a seguito di tentativi ed errori ripetuti? Edison sbagliò 2.000 volte prima di riuscire ad inventare la lampadina. Fleming, per sua stessa ammissione, scoprì la penicillina quasi per sbaglio. Il caso aiuta solo la mente preparata. Osare significa avere il coraggio di rischiare, di sbagliare, di fare brutta figura, e, se necessario, anche di vergognarsi. Solo così possiamo andare oltre i nostri limiti e crescere. Il cambiamento, e il superamento della paura di vincere, passano attraverso lo scavalcamento di piccoli ostacoli quotidiani, che, anche grazie all’errore, possono aiutarci a costruire la fiducia necessaria per raggiungere e superare serenamente tutti i traguardi che ci prefissiamo. La paura di farcela, gli autoinganni e le psicotrappole, il dialogo e il cambiamento strategico sono solo alcuni dei temi trattati dal prof. Giorgio Nardone durante i corsi di Life Strategies. Scopri il prossimo appuntamento di cui sarà protagonista, cliccando qui!
A cura di Life Strategies “Non vali abbastanza”. Quando proviamo a intraprendere un cambiamento, a esprimerci liberamente o a realizzare qualcosa di importante, capita che queste parole risuonino nella nostra mente. È una sorta di riflesso incondizionato che ci blocca, impedendo alle nostre idee di prendere forma e ai progetti che abbiamo in mente di realizzarsi. È come se un critico interiore decidesse per noi, definendo i limiti entro cui possiamo muoverci o esprimerci. Chi è il critico interiore? Il critico interiore nasce da tutto ciò che, quasi inconsapevolmente, abbiamo assorbito nel corso del tempo: commenti negativi che ci hanno ferito, aspettative irraggiungibili che ci siamo imposti, paure irrazionali instillate da chi ci circonda. Secondo Igor Sibaldi, il critico può assumere forme diverse: “un genitore restio, un insegnante severo, un capo inflessibile”. Tutte figure che, senza volerlo, possono averci indotto dubbi e insicurezze e il cui giudizio può condizionarci anche a distanza di tempo. E quando la paura del giudizio altrui ci affligge, cadiamo in un’altra trappola: il perfezionismo. Spesso, infatti, il timore di decidere non ha che fare tanto con l’errore che potrebbe derivarne, quanto, piuttosto, dalla preoccupazione che qualcuno possa farcelo notare. Pur di non sentirci dire “Hai sbagliato” o “Non sei capace”, valutiamo ogni possibile risvolto, curiamo ogni dettaglio in maniera maniacale, e, inconsapevolmente, rimaniamo fermi al punto di partenza. Cercare di controllare tutto significa non riuscire a migliorarci, né a cogliere le opportunità che ci capitano. Quando troppi tentennamenti si accumulano, perdiamo il timing giusto per prendere una decisione. L’ottuso e lo stupido Per evitare di rimanere bloccati, secondo Igor Sibaldi, dobbiamo evitare anche “due grandi mostri: l’ottuso e lo stupido”. L’ottuso è “colui che decide in un attimo, perché ha una mente piccola”, e quindi non riflette, non si pone domande, rifiuta i “ma” e i “perché”. Lo stupido, invece, è chi rimane attonito di fronte alla possibilità di scelta (come l’etimologia latina – stupidus – suggerisce). Immaginiamo di saper decidere Facciamo, allora, un esercizio. Immaginiamo di non aver problemi a decidere perché sappiamo elaborare tutti i dati che abbiamo a disposizione e perché conosciamo il potere di ogni persona coinvolta nelle nostre decisioni. Potere che, secondo Igor Sibaldi, può assumere diverse declinazioni: il potere di fare: quello che gli altri possono farci, sia a nostro favore sia a sfavore; il potere di dare: quello che gli altri possono darci, come incoraggiamenti, ostacoli, opposizioni, forza ed energia; il potere di suscitare: quello che gli altri possono suscitare in noi, ad esempio, gratitudine o rimorsi. Questi ultimi sono qualcosa a cui prestare grande attenzione perché, accumulandosi, corrodono e rendono debole una persona, facendola diventare un “peso” da portare. Quando svolgiamo tale esercizio, dobbiamo pensare di essere già in grado di soppesare tutti questi elementi. Sappiamo valutare le informazioni che ci arrivano, collocarle al posto giusto e dargli il giusto peso, sappiamo valutare le persone con cui abbiamo a che fare in un dato momento e analizzarne le reazioni. Gli altri non rappresenteranno per noi alcun problema, perché sappiamo perfettamente come funzionano. Siamo in grado di determinare il guadagno e i rischi di una decisione, di sopportarne e calibrarne i vantaggi presenti e futuri. Il segreto per eseguire correttamente l’esercizio è non pensare e non ragionare mentre lo si fa, ma assicurarsi di attivare la sensazione, e avvertire il modo in cui ci sentiremmo se fosse davvero così. Finiremo con l’accorgerci che entrano in gioco meccanismi che non avevamo considerato, soprattutto scatta in noi una grande sensazione di libertà e fiducia. La stessa libertà e fiducia che devono guidarci nel prendere future decisioni e nel non lasciare spazio al critico interiore. Finché non sentiamo dentro di noi che possiamo avere successo, non avremo mai successo. Igor Sibaldi sarà protagonista dei prossimi appuntamenti di Life Strategies, sui demi delle decisioni, dei Desideri, dell’Ombra e del Lato Oscuro. Scopri il nuovo corso, cliccando qui!
A cura di Life Strategies Spesso sentiamo parlare dell’epoca in cui viviamo come di un periodo ampiamente dominato da insicurezze e ansie. Queste definizioni, in alcuni casi, amplificano la realtà dei fatti: se è vero che gli ultimi anni sono stati interessati da grandi cambiamenti e profonde incertezze, è altrettanto probabile che ognuno di noi dovrebbe essere “attrezzato” per viverli e attraversarli consapevolmente. Eppure, quando pensiamo al nostro futuro, si scatena un meccanismo particolare: facciamo fatica a prendere decisioni. Che riguardino noi stessi o gli altri, l’orizzonte in cui preferiamo muoverci è quello che contempla la stabilità, la continuità, il rimanere nella nostra zona di comfort, anche quando questa non è più così… comoda. Tempi incerti richiedono coraggio, ma la paura di scegliere rientra tra le forme di paura più subdole e meno visibili. Questo tipo di timore, a seconda delle sue manifestazioni, può portare a comportamenti che non solo limitano le nostre azioni, ma anche chiunque si trovi intorno a noi. Le varianti della paura di decidere Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta che ha trattato con successo oltre 30.000 casi di pazienti affetti dalle più invalidanti forme di psicopatologia, ha studiato e approfondito gli aspetti relativi alla paura di decidere. Questa paura ha diverse varianti: la delega: alcune persone, di fronte alla responsabilità di una decisione, entrano in crisi e la delegano a qualcun altro perché non vogliono assumersene il peso; la procrastinazione: altre, non sentendosi all’altezza, posticipano continuamente la scelta per paura di sbagliare; l’anticipazione catastrofica: ci sono poi individui che non riescono a decidere poiché anticipano mentalmente tutti i possibili effetti negativi della loro scelta, restando così paralizzati nell’indecisione; il dilemma tra opzioni equivalenti: un’altra categoria è quella di chi, come l’asino di Buridano, si trova di fronte a due alternative e non riesce a scegliere tra l’una e l’altra, restando bloccato fino all’inevitabile fallimento; il bisogno di controllo assoluto: infine, ci sono coloro che non riescono a decidere perché vogliono avere il controllo totale su ogni conseguenza della scelta. Però, se è difficile controllare il presente, è praticamente impossibile controllare il futuro. La paura di prendere decisioni non riguarda solo le persone con particolari disturbi psicologici, ma tutti noi. Ciò avviene con diversi gradi di intensità: si può avere una lieve insicurezza che genera disagio ogni volta che si deve decidere, una paura moderata che ostacola la capacità di scelta o, nei casi più gravi, una paura paralizzante che ci rende del tutto incapaci di prendere decisioni. Perché oggi siamo più insicuri? La risposta a questa domanda risiede nel fatto che siamo nati e cresciuti nella società del benessere, che è strutturalmente orientata al miglioramento della qualità di vita. Il principale nemico della società del benessere, infatti, è il dolore. Di conseguenza, qualsiasi esperienza che genera ansia, angoscia o paura viene evitata. Quando poi arriva il momento di fare una scelta, se abbiamo paura di sbagliare, andiamo in crisi. Spesso, nel tentativo di non commettere errori, rimandiamo la decisione all’infinito, fino a trovarci a prendere la decisione giusta nel momento sbagliato, rendendola quindi fallimentare. Un problema antico Già il filosofo Schopenhauer spiegava bene come ogni risoluzione genera una crisi per ciò che non è stato scelto. Inoltre, Leon Festinger, psicologo statunitense che ha formulato la teoria della dissonanza cognitiva, ha dimostrato che ogni decisione porta inevitabilmente a un conflitto interiore tra l’opzione scelta e quella scartata. Tuttavia, sosteneva anche che possediamo gli strumenti per ridurre questa sofferenza e per affrontare le inevitabili conseguenze delle decisioni prese. Quello che scatta nella nostra mente è un meccanismo di autoinganno che valorizza la scelta fatta a discapito delle alternative scartate. Un esempio riguarda l’acquisto di un’auto. Supponiamo di voler comprare un’auto di lusso: veloce, bella, prestigiosa. Poi, però, capita spesso di dover fare i conti con le nostre finanze e ci accorgiamo di non potercela permettere. A quel punto, scendiamo a compromessi, fino a scegliere un modello più economico. Una volta effettuato l’acquisto, nella nostra mente si attiva un meccanismo di autoinganno protettivo. La prima reazione sarà quella di cercare tutte le informazioni che ci confermano di aver fatto la scelta giusta ed evitare quelle che suggeriscono il contrario: è costata meno, i pezzi di ricambio si trovano ovunque, consuma poco, è versatile, e così via… La riduzione della dissonanza cognitiva Tutto ciò ci porta a una riflessione importante: il rischio di compiere una scelta e di prendere una decisione può spaventare, ma una volta che lo abbiamo fatto, il nostro organismo è attrezzato per ridurre la sofferenza. Anzi, il più delle volte ci porta addirittura a compiacerci della decisione compiuta, anche quando potrebbe essere quella sbagliata. “Queste forme di autoinganno ci accompagnano continuamente”, sostiene Giorgio Nardone. Infatti, non rischiamo e scegliamo per paura, invece che per reale convinzione. Indubbiamente, la paura di assumersi il rischio di cambiare è una caratteristica intrinseca dell’essere umano. Ogni volta che vogliamo produrre un cambiamento, scatta una resistenza: più il cambiamento è grande, più forte è la riluttanza per timore degli effetti che potrebbero conseguirne. Il rischio che corriamo non scegliendo, però, è quello di auto-condannarci all’infelicità. Uscire da queste psicotrappole non è qualcosa che si può delegare: ognuno di noi deve farlo per sé. E se non si osa, non si migliora. “Noi siamo ciò che facciamo ripetutamente. L’eccellenza non è un atto, è un’abitudine” Aristotele Il prof. Giorgio Nardone sarà protagonista dei prossimi corsi di Life Strategies, durante i quali tratterà i temi relativi alla gestione della paura di decidere e cambiare, delle psicotrappole e i modi per superare i copioni ridondanti che limitano la nostra piena realizzazione. Scopri il prossimo appuntamento cliccando qui!
A cura di Life Strategies Quando decidiamo di affrontare e superare i nostri limiti interiori, di guardare in faccia le paure che ci bloccano, qualcosa di straordinario accade: quel potenziale che si nasconde in noi trova la forza di emergere. Tuttavia, non si tratta di un percorso semplice da compiere, poiché la ragione ci dice che è più sicuro restare dove si è, che il cambiamento è incerto e rischioso. Ma proprio in questo salto nel buio, che tanto ci spaventa, risiede la chiave per liberarci dalle paure che ci tengono prigionieri: solo osando, spingendoci oltre queste trappole mentali, saremo in grado di diventare la versione migliore di noi stessi. E seppur possa sembrare una strada lunga da percorrere, è possibile cambiare rapidamente, se sappiamo quali strategie adottare. Conoscere l’inconscio per gestire le maggiori resistenze Parlare di cambiamenti rapidi, pertanto, ci induce a riflettere su quella parte dell’essere umano che è in grado di percepire le cose e di reagire ad esse, di elaborarle: il cervello. Ma, come osserva il professor Giorgio Nardone – psicologo e psicoterapeuta che ha trattato con successo oltre 30.000 casi di pazienti affetti dalle più invalidanti forme di psicopatologia – uno dei vizi storici dell’Occidente, e anche della scienza occidentale, è pensare che il pensiero venga prima di qualunque cosa. Oggi le neuroscienze ci dimostrano concretamente che, da un punto di vista empirico, si era già sperimentato oltre trentacinque anni fa curando e trattando i disturbi più gravi, come le ossessioni compulsive, l’anoressia e il panico. Almeno l’ottanta per cento delle nostre attività mentali, infatti, si svolge nell’inconscio. Quindi, dobbiamo imparare a gestire il nostro modo di sentire se vogliamo reagire agli stimoli nel modo più funzionale, evitando le modalità – per l’appunto – disfunzionali. Una di queste, che viene applicata da sempre, è pensare che dobbiamo fare tutto guidati dalla ragione. La coscienza, invece, nella maggioranza dei casi, è un impedimento al cambiamento e non un veicolo per farlo accadere poiché è lì che risiedono le maggiori resistenze: tanto più siamo protesi a un cambiamento, tanto più dentro di noi si innescano delle reazioni contro il cambiamento. Tornano così alla mente le parole di Einstein: “Oggi abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi creati dal vecchio modo di pensare”. Il vecchio modo di pensare è pensare che il pensiero venga prima di tutto e che domini tutto. Oggi, gli studi di psicologia, di neuroscienze, di psicoterapia dimostrano che le nostre risposte più importanti sono fondamentalmente di tipo emozionale, non più razionale. Le “tecnologie psicologiche” vengono in nostro aiuto Ciò che produce il cambiamento “ultrarapido”, nel modo di sentire e di agire, è quella che un famoso studioso degli anni Quaranta, Franz Alexander, aveva definito esperienza emozionale correttiva, di cui abbiamo parlato in questo articolo. Ovvero quel tipo di esperienza concreta che una persona sperimenta realmente e che gli fa sentire, anche solo per un attimo, una percezione totalmente diversa dalla realtà. Nel mondo orientale la chiamano illuminazione, ma di solito è l’effetto di un percorso di meditazione reiterato nel tempo di meditazione. Al contrario, l’esperienza emozionale correttiva è qualcosa che accade continuamente e che oggi, attraverso studi continui e sperimentali a livello empirico, può essere prodotta tecnologicamente. Infatti, sono state messe a punto tutta una serie di tecnologie terapeutiche – o tecnologie psicologiche come le chiama Giorgio Nardone – che permettono di guidare le persone a sperimentare esperienze emozionali correttive, per farle uscire dalle loro rigide trappole mentali. Con quest’ultimo termine si intendono molti e vari comportamenti: dal soggetto che ha un grave disturbo, al manager ossessionato da un’idea, fino allo scienziato innamorato della sua scoperta da cui non si allontana più, o all’atleta bloccato nella sua performance. Quindi, non stiamo parlando solo di un mero ambito, stiamo parlando di un ambito estremamente importante che rimette la persona al centro di quello che è lo studio del cambiamento e dei cambiamenti rapidi. La comunicazione strategica come veicolo di cambiamento Che cos’è, dunque, che induce le persone a cambiare? Soprattutto, come possiamo convincerci a fare qualcosa che magari fino ad ora non abbiamo avuto il coraggio di fare o la capacità di sperimentare? Attraverso la retorica della persuasione, grazie alle suggestioni ipnotiche. Ma quando parliamo di tecnologia, che arriva in un attimo e con un clic nel mondo, si rende ancora più necessario pensare a come la comunicazione abbia un potere straordinario nel creare esperienze emozionali correttive. Proprio per questo, la comunicazione non deve essere un’improvvisazione, tantomeno un qualcosa di eccessivamente irrigidito su posizioni moralistiche di censura poiché, ogni volta che si proibisce una cosa, la si rende ancora più desiderabile, incrementando la presenza, anziché ridurla. Imparare a dialogare strategicamente con noi stessi, prima di tutto, ci consente di compiere quel salto nel vuoto dove il nostro potenziale non aspetta altro che essere (ri)scoperto e portato alla luce. Approfondiremo le strategie per potenziare le nostre risorse, e attivare il cambiamento, in uno dei corsi che il professor Giorgio Nardone farà insieme a Life Strategies. Scopri il prossimo appuntamento cliccando qui!
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Dal 2016 ci occupiamo del benessere delle persone, organizzando eventi per la crescita personale. Tale attività, che è anche un valore della nostra vita, non può essere svolta se mette a rischio la salute di chi amiamo.
Abbiamo deciso pertanto di spostare le date dei nostri seminari nell’ultima parte dell’anno, quando saremo sicuri che condividere l’esperienza della formazione sia in armonia con il nostro e vostro star bene.