A cura di Life Strategies
Può capitare, nella vita di ognuno di noi, un momento in cui il dolore si insinua profondamente, tessendo un velo oscuro tra noi e il mondo.
Arriva all’improvviso e con violenza, poi resta latente e silenzioso, trasformandosi in un abitante fisso dei nostri giorni che oscura la luce e le possibilità di un futuro sereno. Ci paralizza, rendendoci prigionieri di un presente da cui sembra impossibile fuggire.
Il dolore può diventare una forza cupa, che permea anche le relazioni che un tempo ci nutrivano. Può lasciarci in uno stato di isolamento e privarci della volontà di costruire e progettare il nostro domani. Quando soffriamo, anche il tempo sembra fermarsi e ciò che ieri era gioia diventa memoria sbiadita.
Eppure, secondo il Professor Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta che da oltre 30 anni studia le 4 emozioni primarie (paura, rabbia, piacere, dolore), senza sofferenza non possiamo imparare a gestire la realtà che ci circonda. Sembra un paradosso, eppure il dolore è in grado di attivare risorse che altrimenti restano dormienti.
“Il dolore può diventare maestro, se impariamo ad ascoltarlo e a superarlo.”
– Giorgio Nardone
Come possiamo trovare il coraggio di affrontare il dolore, anche quando ci toglie anche il fiato?
Il primo passo da compiere è sprofondare in esso. Concedendoci di scivolare nel pianto più profondo e nella disperazione, attiviamo un effetto naturale, quello dell’assuefazione.
Non a caso, una delle tecniche della Terapia Breve Strategica è proprio la prescrizione del sintomo. Attraverso questo processo, si chiede al paziente di aumentare la frequenza con cui egli vive il comportamento problematico, per esaurirne la forza autodistruttiva. Un approccio contro-intuitivo, ma spesso efficace.
Ma sappiamo davvero reggere il peso del dolore? Molto spesso, quando si prospetta la possibilità di soffrire, costruiamo autoinganni inconsci: le psicotrappole scattano ogniqualvolta temiamo di provare dolore. Una delle più dannose è la rinuncia. Per esempio, quando pensiamo che puntare a un obiettivo possa comportare anche la frustrazione di non raggiungerlo, per salvaguardare la nostra autostima, molliamo senza considerare che la frustrazione che deriva dal mollare è essa stessa lesiva.
Questo succede anche quando ci rendiamo conto che il nostro partner ci tradisce o i nostri figli non ci dicono la verità sulle loro frequentazioni. È la paura di soffrire per affrontare il problema che sposta l’attenzione dalla realtà, alla realtà che ci raccontiamo.
Perché la razionalità non basta
A chi di noi non è capitato, proprio nei momenti di acuta sofferenza, di avere vicino una persona che ha detto: “pensa positivo”?
Forse è proprio quello il momento peggiore: quando gli altri sembrano avere tutto, quando sembra che la loro forza di volontà e la positività porti loro ogni benedizione, mentre noi annaspiamo. E, più cerchiamo di tirarci su e di pensare positivo, più restiamo attanagliati dalla sofferenza. Questo accade perché ciò che vale per la sfera razionale – in cui la motivazione incide e può essere alimentata (pensiamo allo sport, alla carriera) – non avviene invece nella sfera sentimentale. Le psicotrappole, infatti, funzionano solo se sono inconsapevoli, non se si cerca di attivarle razionalmente.
C’è una fase in cui la razionalità ha un ruolo, ed è quando applichiamo la ristrutturazione cognitiva: questa tecnica ci aiuta a ridimensionare l’intensità emotiva associata ai ricordi dolorosi, favorendo l’apertura una nuova prospettiva. Oppure la tecnica del cambio di prospettiva, che serve a vedere il dolore da angolazioni diverse, attenuandone l’impatto e recuperando il senso di controllo. O la ritualizzazione delle preoccupazioni, che consiste nell’esercitarci a confinare le nostre preoccupazioni in specifici momenti della giornata, riducendone l’invadenza nella vita quotidiana.
“La mente è come un paracadute, funziona solo se si apre”.
Giorgio Nardone
Le cose cambiano solo con esperienze emozionali correttive: secondo Giorgio Nardone, infatti, è quando finalmente sentiamo qualcosa scattare dentro di noi che possiamo piano piano riemergere da stato che causa comportamenti disfunzionali. Esperienze che ci fanno sentire più che capire, aprendo la mente a nuove possibilità, insinuando in noi una nuova visione di quel dolore. Dolore che non è più un vicolo cieco, ma un passaggio che, per quanto oscuro, porta ad una nuova versione di noi stessi, e ci rende più resilienti e capaci di guardare al futuro.
In ogni relazione interrotta dal dolore, in ogni speranza messa da parte, nelle parole non dette e nei domani cancellati, c’è spazio per il cambiamento: è così che il dolore non rappresenta più un ostacolo, ma un gradino verso una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo.
E proprio in questo sta la vera essenza della resilienza umana: non nell’evitare la caduta, ma nel rialzarsi ogni volta, più forti e saggi di prima.
I temi legati alle psicotrappole, alla Terapia Breve Strategica e al Problem Solving Strategico sono al centro dei corsi di Life Strategies, di cui il professor Giorgio Nardone è protagonista. Scopri il prossimo appuntamento, cliccando qui!