La preghiera, una scienza perduta al servizio dell’umanità

In un mondo che, a detta di molti, gira veloce e senza un perché, occorrerebbe fermarsi a coltivare la propria spiritualità, prima di tutto il resto. Il riferimento è a quel tipo di particolare sensibilità che è adesione a determinati modi di vivere e sperimentare la realtà, non certo ad una dimensione di carattere squisitamente religioso, alla quale spesso riconduciamo il senso di questa parola.

Accade quasi sempre dopo un grande dolore o in un momento di forte crisi esistenziale che si cerchi un modo per andare avanti o invertire il corso degli eventi. In particolare ci si chiede come sopravvivere alle ferite della vita, cercando, pur senza troppi entusiasmi, la chiave di una nuova felicità.

Gregg Braden, lo scrittore americano che di questi argomenti ha fatto lo scopo di tante ricerche e il perno di molti viaggi nei luoghi più remoti del mondo, sostiene che “la chiave della sopravvivenza  consiste nell’immergersi nelle lotte della vita”, senza tuttavia perdere se stessi durante quell’esperienza. Può sembrare alquanto paradossale eppure è l’unica via che può condurci a trovare un’àncora di salvezza e la forza necessaria per sopportare qualunque impresa.

Gregg Braden

C’è uno strumento di consapevolezza che va oltre ogni altra forma di conoscenza di sé ed è la preghiera. Braden ne spiega il grande potere ripercorrendo la storia di alcune grandi civiltà del passato e, con l’eloquenza tipica della saggezza degli antichi maestri, ne mette in risalto una grande verità: ogni individuo ha la responsabilità di vivere nella felicità o nella sofferenza.

Quattrocento anni fa i grandi saggi della nazione Navajo, collocata nelle zone desertiche del sud-ovest americano, furono messi a dura prova dalla terra, dalla natura e delle tribù confinanti. Sperimentando il dramma della siccità e della carestia, compresero che l’unica arma a disposizione per sconfiggere il male che li stava affliggendo era quella di fare appello al potere della sofferenza interiore. La loro sopravvivenza dipendeva proprio dal saper imparare questa lezione. E la appresero.

La soluzione che trovarono fu quella di dare a ciascuno una convinzione, un motivo per andare avanti nella certezza che ci sarebbero stati giorni migliori.

La preghiera di cui parla Braden non è quella che comunemente pensiamo. Traendo spunto dagli scritti gnostici ed esseni, come pure dalle tradizioni dei nativi di tutte le Americhe, egli si è convinto che il dolore, la benedizione e la bellezza sono concordemente riconosciuti come chiavi per la sopravvivenza rispetto alle maggiori prove cui la vita ci sottopone. La preghiera è dunque il linguaggio che “ci permette di applicare le nostre lezioni di vita alle situazioni che viviamo”.

San Francesco d’Assisi, descrivendo il mistero e il potere che convivono nell’animo di ciascun individuo, evidenziò come “dentro di noi esistono forze selvagge e meravigliose”. Partendo da questa prospettiva e valorizzando le esperienze degli antichi popoli d’America, Braden ha concepito saggezza e dolore come punti cardine di una stessa esperienza. “Il dolore”, scrive, “si pone come sentimento iniziale, risposta istintiva ad una perdita, a un dispiacere o a notizie dei media che turbano la nostra sensibilità. La saggezza”, invece, “rappresenta l’espressione del dolore dopo la sua guarigione”. Secondo Braden “noi trasformiamo il dolore in saggezza, dando nuovo significato alle esperienze dolorose. Benedizione, bellezza e preghiera sono gli strumenti di cambiamento di cui disponiamo”.

Giotto, San Francesco d’Assisi – Basilica superiore di Assisi

Ma perché la preghiera?

Perché la preghiera è un linguaggio che ci collega alle forze più potenti dell’universo.

“Alcuni esperimenti svolti sul finire del XX secolo”, spiega Braden, “hanno confermato che siamo immersi in un campo di energia che collega tutti noi agli eventi che avvengono nel mondo”. In pratica la ricerca ha dimostrato che, grazie a questo campo energetico, al quale sono stati attribuiti i nomi più disparati, da Ologramma quantico a Mente di Dio, le convinzioni e le preghiere che trovano posto dentro di noi sono trasmesse al mondo fuori di noi. Sia la scienza sia le antiche tradizioni approdano alle stesse considerazioni: dobbiamo incarnare nella vita quotidiana le condizioni che desideriamo sperimentare nel mondo.

La chiave di volta sta nel riconoscere il potere nascosto della bellezza, della benedizione, della saggezza e del dolore.

Il reverendo Samuel Shoemaker, utopista cristiano del XX secolo, ha descritto il potere di trasformazione insito nella preghiera con una frase molto significativa: “la preghiera può non cambiare le cose per voi, ma sicuramente cambia voi, nel modo in cui affrontate le cose”.

Samuel Shoemaker

Ciò vuol dire che, anche quando pregassimo per eliminare la causa di una nostra sofferenza, avremmo la possibilità di assegnare al fatto che la determina un diverso significato e dunque di approcciarci ad esso con un nuovo sentimento, spalancando perfino le porte alla guarigione dei nostri ricordi più dolorosi.

La preghiera appartiene a tutti. Non è un fatto religioso, è un fatto spirituale ed appartiene ad ogni abitante dell’universo indistintamente.

Chi ne scopre il potere abbraccia un nuovo modo di pensare e vivere la realtà.

Ho visto mia nonna pregare ogni giorno fino alla morte e trarne sollievo nel suo mondo fatto di poche e difficili cose. Era malata e aveva molte sofferenze fisiche, sicuramente molte ragioni per essere arrabbiata e infelice, ma ha sempre accolto tutti con generosità e amore, dimostrando fino all’ultimo una straordinaria resilienza.

A Siena, due anni fa, una donna minuta e dal cuore grande, mi ha accolto nella sua bellissima casa nel cuore storico della città, mostrandomi il suo mondo, fatto della scoperta di un’altra via, quella buddista, per realizzare la rivoluzione della felicità. Non dimenticherò mai Grazia, il suo sorriso gentile, il suo cuore appagato e placido.

Non importa in cosa o chi tu creda, ciò che conta è come lo fai.

La trasformazione interiore influenza il nostro ambiente.

Un crescente numero di scoperte conferma l’esistenza di una forma di energia finora sconosciuta, capace di spiegare per quale motivo le preghiere funzionano. Gli scienziati non si sono accordati sul nome da dare a questo campo unitario di energia, ma sono tutti d’accordo nel ritenere che sia la trama vivente sulla quale intessere l’insieme degli eventi della nostra vita.

Max Planck, vincitore del Premio Nobel e concordemente considerato il padre della fisica quantistica, sosteneva che l’esistenza di questo campo energetico stava ad indicare che il mondo fisico fa capo ad una grandiosa forma di intelligenza. Da tale considerazione egli trasse la seguente conclusione: “questa mente è la matrice di tutta la materia”. Durante un famoso discorso tenuto a Firenze nel 1917 scioccò il mondo con il suo riferimento al potere delle forze invisibili della natura. Planck anticipò i tempi, risalendo le sue intuizioni a quasi ottant’anni prima che la fisica quantistica dimostrasse, in condizioni di laboratorio, l’esistenza di un corpo unitario”.

Tale campo, come dicevano gli antichi, risponde alle emozioni umane, ecco perché, come le antiche tradizioni hanno svelato migliaia di anni fa, lo strumento che abbiamo per connetterci ad esso sta in un’esperienza molto comune e condivisa da tutti, quella dei sentimenti e delle emozioni umane.

Senza il bisogno di usare particolari parole o tenere le mani in una data posizione, la preghiera di cui parla Gregg Braden è semplicemente un sentire in noi un’emozione chiara e potente, che corrisponda a ciò che proveremmo se le nostre richieste fossero già state esaudite.

“In un giorno in cui il vento è perfetto, basta solo spiegare le vele e il mondo si riempie di bellezza. Oggi è un giorno come quello”.

Rumi

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