Una storia di resilienza

Resilienza

Resilienza: storie straordinarie e di tutti i giorni

Al contrario di quello che sostiene il noto detto, perseverare non è diabolico: è umano.

Diabolico è rinunciare a impegnarsi, rimanere immobili, mettersi ad aspettare che la motivazione arrivi dall’esterno, non sfruttare a fondo tutte le risorse di cui gli esseri umani sono dotati. Se impegno e motivazione permettono di raggiungere risultati straordinari, diabolico è sprecare questa opportunità.

Questo deve essere il nostro punto di partenza, la nostra “rinascita”. Molti di noi hanno smarrito il senso dell’impegno e della volontà individuale in cambio del culto della fortuna, del talento e della genetica: dovremmo ricordare come funziona la motivazione, riscoprire le radici della nostra civiltà e diventare resilienti.

L’indomabile forza della resilienza

La resilienza, che abbiamo trattato nel precedente articolo (clicca qui per rileggerlo), rappresenta la regola in noi esseri umani, non l’eccezione. La nostra forza deriva dalle risorse interne: la capacità di non mollare, quella di tenere duro rimanendo motivati di fronte alla difficoltà, lo spirito di sacrificio, la capacità inesausta di rialzarci e quella di riuscire a non smettere di sperare contro ogni evidenza. Tutte queste capacità vengono oggi radunate e definite con il termine di resilienza.

La resilienza implica atteggiamenti e comportamenti che possono essere appresi, allenati e perfezionati da chiunque.

Lo sport come palestra per la resilienza

Uno dei più grandi “campi di battaglia” per allenare la resilienza è lo sport, perché rappresenta un eccezionale banco di prova per i metodi di sviluppo di tali capacità.
Può influenzare non soltanto i risultati a breve termine, ma anche l’esito di un’intera carriera sportiva. Non riguarda soltanto atleti di alto livello, medaglie olimpiche o recordman, ma anche sportivi amatoriali, dilettanti o atleti del settore giovanile, motivati a spostare i propri limiti personali.

Talvolta, però, è la vita quotidiana di tutti i giorni, piena di imprevisti e avversità, che ci mette alla prova. La resilienza va allenata a partire dal contesto quotidiano, dalle pratiche di vita ordinarie, dalla nostra vita normale. Solo così è davvero utile.

“Se ce la metto tutta, non posso perdere. Forse non vincerò una medaglia d’oro,
ma sicuramente vinco la mia battaglia personale. È tutto qui.”

– Ian Thorpe, pluricampione olimpico

La storia di Bebe Vio

Ognuno di noi ha la propria vita: percorsi diversi, differenti paure e svariati problemi. Viviamo in una serie infinita di alti e bassi che mettono alla prova le nostre abilità e affrontare situazioni spiacevoli fa parte del nostro cammino. 

Anche se le persone fanno fatica a comprendere il concetto di resilienza, ognuno di noi viene al mondo con una dotazione di base in termini di resilienza. Non è difficile credere che sono i momenti peggiori, quelli più imprevedibili e dirompenti, a mettere alla prova le nostre capacità.

La storia di Bebe Vio rappresenta la massima espressione del concetto di resilienza. 

Fin da piccola, Bebe si dimostra una bambina molto vivace, piena di determinazione e forza di volontà. All’età di quattro anni inizia ad avvicinarsi allo sport, dapprima con la danza e successivamente con la pallavolo, finché non scopre la sua vera passione: la scherma.

Beatrice Vio sul podio italiano per il fioretto a squadre femminile ai Campionati Europei di Scherma in Sedia a Rotelle al Rhénus Sport di Strasburgo. © Marie-Lan Nguyen/Wikimedia Commons

La scherma: un amore a prima vista

È durante un allenamento di pallavolo che vede, nella palestra accanto, alcune persone che tirano di scherma: una vera e propria folgorazione.

Purtroppo, però, la vita non è stata clemente con lei: all’età di undici anni viene colpita da una meningite fulminante che le causa violente infezioni e necrosi in varie parti del corpo, con conseguente amputazione di tutti e quattro gli arti. Un evento che sconvolgerebbe chiunque.

Ora ti chiederai: come può, una bambina così piccola, trovare una salda motivazione per andare avanti? Come può sprizzare felicità da tutti i pori durante le sue interviste e le sue attività? Grazie alla scherma.

Quello che proprio non sapevo, e che non mi aspettavo, è che si può vivere un’esperienza così al limite eppue essere felici. Che si può avere un entusiasmo straordinario e contagioso, trascinando gli altri durante gli allenamenti. Che si può rinascere e rialzarsi anche dopo una malattia che non ha avuto nessuna pietà. Che si può continuare a sognare e fare progetti, che non sono semplici ripieghi o cerotti da mettere sulla propria vita, ma che invece sono straordinariamente ambiziosi e sfidanti”. (Pietro Trabucchi, sociologo, psicologo dello sport e docente all’Università di Verona, in un’intervista a Beatrice Vio).

Nel Natale del 2009, si reca a Roma per fare un provino con Fabio Giovannini, allenatore della nazionale paralimpica. Le legano il fioretto alle protesi con lo scotch e fa subito vedere di cosa è capace. Il resto è storia: tantissime vittorie, culminate con l’oro olimpico di Rio.

Ora la scherma mi piace persino più di prima, perché sulla carrozzina non puoi indietreggiare. Sei tu con il tuo avversario. Puoi solo cercare di infilzarlo prima che lui infilzi te”, racconta Bebe in un’intervista a Pietro Trabucchi.

In carrozzina si tira indossando delle protesi al posto delle braccia. L’atleta non può né avanzare, né indietreggiare perché la carrozzina viene fissata sul pavimento, al fine di evitare che possa ribaltarsi. Bebe ha trovato nella scherma il proprio salvagente, ponendosi un preciso obiettivo: partecipare e vincere le paralimpiadi di Rio. Così è stato e attualmente è campionessa paralimpica mondiale ed europea di fioretto individuale.

Motivazione e resilienza

Qual è stato il risultato del suo inarrestabile percorso? 

Com’è possibile che un evento, che avrebbe potuto seppellire la maggior parte delle persone, abbia accresciuto la forza, il coraggio e l’ambizione di una ragazzina di appena undici anni?

Esistono delle motivazioni che si sgretolano molto in fretta di fronte ad ostacoli banali, come: “Piove? Beh, allora uscirò a correre un’altra volta”. Ci sono altre motivazioni che, invece, sono capaci di svilupparsi in contesti molto difficili: la storia di Bebe Vio è esemplare in questo senso, perché la campionessa non si è limitata a sopravvivere, ma è stata capace di riscrivere la propria storia, riuscendo a mantenere accesa e a convogliare la motivazione verso un sogno-progetto che la rende felice.

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