A cura di Life Strategies
I conflitti sono parte integrante del nostro vivere in famiglia, nella società, nel lavoro. Lo sono perché molto spesso sono latori di innovazione, di cambiamento positivo, di dibattito e di integrazione. Eppure, non sempre i conflitti vengono gestiti in maniera tale da arrivare a una condizione in cui la pressione si stempera in funzione di un risultato più ampio e positivo.
Nella quotidianità di noi tutti, presi da continue tensioni, equilibri da gestire in ogni ambito della nostra vita, la tentazione che abbiamo è quella di riprodurre copioni che, da un lato ci rassicurano ma dall’altro, come afferma il Professor Giorgio Nardone (lo approfondiamo qui), troppo spesso ci inducono a errori ricorrenti. E allora è giusto investire la nostra energia anche nell’interrogarci su cosa sbagliamo, cosa possiamo migliorare, come possiamo cambiare.
E se a cambiare non dovessimo essere soltanto noi?
E se potessimo, proprio per non tornare ad applicare copioni che non conducono alle soluzioni auspicate, ricercare e ottenere anche la collaborazione degli altri, per arrivare a un dialogo proficuo e costruttivo?
Secondo Paolo Borzacchiello, co-creatore di HCE (Human Connection Engineering), disciplina che studia e decodifica il codice delle interazioni umane, è possibile depotenziare e addirittura disinnescare gli stati di tensione nelle persone con cui interagiamo.
Sperimentiamo fin troppo bene su di noi l’inutilità dell’approccio sminuente: frasi come “e che sarà mai?” o “non ti preoccupare” generano solo un aumento di agitazione nell’interlocutore, che non sentendosi capito, non prova empatia con il nostro stato emotivo. Noi siamo sereni, lui è agitato: questo non fa altro che aumentare le distanze. Fermiamoci un attimo a pensare: cos’è che, a parti inverse, desideriamo quando siamo presi da uno stato di agitazione? Essere compresi. Il primo passo, quindi, è quello di assumere un atteggiamento di comprensione, volto a conquistare la fiducia dell’interlocutore.
Depotenziare e disinnescare la tensione
Il passo successivo è quello che ridefinisce i contorni del problema.
Spesso ci capita di confrontarci con qualcuno che ci capisce e ci fornisce una chiave di lettura diversa e nuovi orizzonti di scelta. Ciò succede perché siamo noi che abbiamo cambiato punto di vista oppure lo stesso problema, definito da chi ci sta di fronte, viene in qualche modo ridefinito, scevro dalla nostra emotività?
Nel libro La chimica segreta delle interazioni umane, Paolo Borzacchiello descrive il reframing: il processo attraverso cui possiamo imparare a descrivere lo stesso concetto con altre parole, scegliendo quelle che aiuteranno ad allentare la tensione in chi abbiamo di fronte. Ridefinire e circoscrivere il contesto, in modo che una data situazione si sviluppi in un lasso di tempo ben definito, implica portare il conflitto ad allo step successivo, quello in cui avviene il rilascio della serotonina.
E questa nuova definizione può essere applicata anche in altri casi in cui, in presenza di un problema analogo o dalle stesse conseguenze negative, possiamo riattivare il ricordo dell’aver risolto quella complessità, senza dover affrontare nuovamente tutte le criticità che ne deriverebbero. Questo è il bagaglio che ognuno di noi ha, che consente un ri-accesso emotivo carico di speranze e di positività.
Sono molti ancora gli accorgimenti che possiamo adottare in un conflitto: riguardano il nostro approccio gestuale, la voce e persino il ruolo che gioca l’ambiente in cui il conflitto si svolge.
Parleremo di come agire per innescare il cambiamento in noi stessi ma anche negli altri, insieme a Paolo Borzacchiello in occasione del prossimo corso a Milano e online.
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