Empatia: cosa ci fa connettere con gli altri e cosa, invece, ci disconnette?
È la domanda che ci pone Helen Riess, psichiatra, professoressa associata di Psichiatria alla Harvard Medical School e direttrice dell’Empathy and Relational Science Program del Massachusetts General Hospital, durante un suo celebre TEDx.
Per rispondere, racconta un particolare aneddoto. Una volta, viaggiando in aereo, un bambino ha cominciato a piangere in modo molto rumoroso. Helen Riess ha assistito a diverse reazioni di fronte a questo gran baccano: c’era chi ha dedicato uno sguardo molto comprensivo ai genitori del bambino, chi sembrava infastidito e frustrato, chi si è lanciato letteralmente verso la parte anteriore dell’aereo, lontano dai pianti. La reazione più sorprendente di tutte, tuttavia, è arrivata da un bambino di soli tre anni che, alzandosi di scatto dalla sedia, si è avvicinato a quel bimbo urlante e gli ha offerto il suo ciuccio.
“Wow!”, ha pensato Helen Riess, “quel bambino ha davvero ascoltato e sentito l’angoscia del neonato. Non è quello che vorremmo tutti? Essere visti, ascoltati e che qualcuno risponda ai nostri bisogni? Questa è l’essenza dell’empatia”.
Per l’esperta, l’empatia non è mettersi semplicemente nei panni di qualcun altro, come spesso sentiamo dire, ma farci una passeggiata.
Empatia: non è proprio compassione!
Il termine “empatia” deriva dal greco ἐν, “in”, “dentro”, e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, che significa “soffro”. Certamente anche tu conoscerai persone empatiche e altre meno empatiche. Ciò significa che soffrire per qualcuno, provare compassione e pietà, equivale a essere empatici?
Non proprio…
La dott.ssa Brené Brown, docente di ricerca presso l’Università di Houston, parla di una differenza con la compassione, ha illustrato cos’è l’empatia:
“È una scelta ed è una scelta vulnerabile, perché per entrare in contatto con te devo entrare in contatto con qualcosa dentro di me che conosce questi sentimenti.”
Entrare in empatia con qualcuno richiede una totale e intima partecipazione e immedesimazione: accogliere l’intimità altrui significa prima di tutto imbattersi nella propria intimità. Di fronte a un amico, a un collega o a un estraneo che ci chiede supporto, anche solo con lo sguardo, ciò che tendiamo a fare il più delle volte è dare il nostro giudizio oppure pronunciare frasi all’apparenza consolatorie. La persona che sta cercando di entrare in connessione con noi non ha bisogno di sapere qual è il minore dei mali o di guardare il lato positivo. Come spiega Brown, “raramente una risposta può migliorare le cose, ma può farlo la connessione“.
Persone più capaci di comprendere lo stato d’animo altrui, di “accogliere” l’emozione altrui e di non fuggirne. Ma questo non deve farci credere che l’empatia sia una dote innata, qualcosa che hai con la nascita o niente, sei destinato a non provare empatia.
4 attributi dell’empatia
Lo sapevi che, negli ultimi anni, le ricerche su Google del termine “empatia” sono schizzate alle stelle?
Un recente articolo del Corriere della Sera evidenzia che “la frequenza delle ricerche su Google per la parola empatia è più che raddoppiata negli ultimi dieci anni.”
Purtroppo, sembra che questa parola sia diventata di moda. La verità è che, nonostante molti di noi vorrebbero definirsi persone empatiche, l’empatia è difficile e complessa, perché ha a che fare con moti interiori molto delicati e con il rapporto più vulnerabile che possiamo avere con gli altri e con noi stessi. Una persona empatica ha la capacità di entrare in punta di piedi nell’animo altrui, è pronta a porre una domanda con delicatezza, è disponibile a scoprirsi, non dà mai per scontato di sapere qualcosa, non distoglie lo sguardo quando l’emozione diventa più intensa. Theresa Wiseman, professoressa, infermiera e ricercatrice sulla salute applicata alla cura del cancro, ha notato 4 attributi dell’empatia:
- La capacità di cambiare punto di vista, abbracciando quello altrui
- L’assenza di giudizio
- Riconoscere le emozioni dell’altra persona
- La comunicazione.
In un articolo sulla rivista statunitense di psicologia Psychology Today, Ekua Hagan ci dà 3 utili consigli che possono aiutarci a portare maggiore empatia nel nostro cuore.
Eccoli:
3 utili consigli che possono aiutarci a portare maggiore empatia nel nostro cuore
1 – Allenarsi ad ascoltare
Nell’era delle distrazioni, saper ascoltare è un’arte. Un’arte che possiamo imparare a esercitare. Ma l’ascolto empatico richiede qualcosa in più della semplice attenzione. Per tentare di comprendere l’esperienza di un’altra persona, scrive Ekua Hagan, dobbiamo essere disposti a lasciar andare per un momento la nostra visione e accogliere quella altrui. È qui che entra in gioco la consapevolezza, che consente un ascolto profondo, non superficiale, senza giudizio.
2 – Impegnarsi nella lettura
Secondo Keith Oatley, psicologo della University of Toronto, leggere romanzi e racconti aiuta ad allenare la straordinaria capacità dell’empatia. Entrare “nel mondo” di un personaggio, anche se inventato, nel suo ambiente e nella sua cultura, aiuta a vedere le cose da una lente alternativa. È come se la fantasia e l’immaginazione ci “abituasse” un po’ a vestire i panni altrui, a vivere o provare sensazioni nuove.
3 – Circondarsi di amici che hanno pensieri diversi
Numerosi studi confermano che, in un contesto professionale, diverse prospettive creano ottimi risultati in termini di crescita. Vale anche per crescita nella vita personale?
Come sai, le persone che fanno parte di una tribù si creano un ambiente rassicurante, perché si circondano di amici che la pensano come loro. Questo è rimanere in una Comfort zone, che rassicura e ci protegge. Anche se può sembrare difficile, cerchiamo di circondarci di amici con le idee diverse dalle nostre: è così che potremo fare esperienza di conversazioni ed esperienze differenti dal nostro solito modo di pensare e vedere le cose.