A cura di Life Strategies
I disturbi alimentari (DCA), lungi dall’essere riconducibili solo a problemi legati al cibo, sono sofferenze profonde, mascherate da rituali, silenzi e ossessioni. Non parlano solo di ciò che si mangia o non si mangia, ma di chi si è, di come ci si percepisce, di quanto ci si sente accettati, amati, valorizzati. Sono, a tutti gli effetti, un modo disfunzionale di comunicare un disagio profondo, spesso invisibile agli occhi di chi sta attorno.
Anoressia, bulimia, vomiting, binge eating: ciascuno di questi disturbi è una forma di prigione in cui il cibo diventa il carceriere e il corpo il campo di battaglia. All’inizio sembrano addirittura soluzioni: controllare il cibo diventa un modo per controllare l’ansia, la tristezza, il senso di vuoto o l’insicurezza. Ma quel controllo, presto, si trasforma in schiavitù.
L’apparenza che diventa ossessione
“Parlare di disturbi del comportamento alimentare è estremamente riduttivo. Se vogliamo trovare soluzioni efficaci, dobbiamo definire correttamente il problema”, osserva Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, che ha trattato con successo oltre 30.000 casi di pazienti affetti dalle più invalidanti forme di psicopatologia.
Oggi i disturbi alimentari colpiscono sempre più presto, coinvolgendo anche bambine e bambini di appena 8 o 9 anni. Iniziano a rifiutare il cibo o a sviluppare paure ossessive legate al proprio corpo, spesso prima ancora di comprendere davvero cosa significhi crescere. È il segnale doloroso di una società che troppo spesso insegna a misurare il valore di sé attraverso l’aspetto, invece che attraverso ciò che si è davvero.
Ciò che all’inizio nasce come una strategia di adattamento o di difesa, si trasforma presto in una trappola. Il sintomo si fa padrone della mente e della vita: tutto ruota intorno al cibo, al peso, allo specchio. Il mondo interiore si riduce progressivamente, fino a coincidere con la malattia stessa. In questa spirale, non basta comprendere il perché: serve un intervento immediato, mirato, che possa interrompere il ciclo disfunzionale prima che diventi dominante.
Comunicare per dare forma al dolore…
Il professor Nardone propone un protocollo specifico per l’anoressia giovanile che comincia, fin dalla prima seduta, con un intervento di forte impatto, capace di innescare cambiamenti progressivi e significativi.
Si lavora prima di tutto con i genitori, che spesso diventano ostaggi inconsapevoli della malattia. Per questo è fondamentale aiutarli a ritrovare equilibrio e consapevolezza, affinché smettano di sentirsi in balìa della situazione e tornino a svolgere un ruolo guida: presenti, forti e rassicuranti, che non si fanno sopraffare.
Con la ragazza – o il ragazzo – il primo passo è costruire un ponte comunicativo che parli la sua lingua: quella dell’estetica e del significato che attribuisce al corpo. Le viene rivolto un messaggio chiaro e profondo: “Non posso mentirti. Per aiutarti dovrò farti prendere peso. Ma non voglio che tu diventi grassa, voglio che tu diventi bella. Bella come puoi essere davvero”. Parole scelte con cura, che toccano corde profonde e spesso inascoltate.
Successivamente, si introduce un esercizio immaginativo: “Se potessi mangiare tutto ciò che desideri senza ingrassare, cosa sceglieresti?”. Si esplorano insieme sapori, consistenze, piaceri dimenticati. Non è solo una fantasia, è un modo per riattivare il desiderio e la relazione positiva con il cibo. È una forma delicata di ipnosi non formale, capace di far emergere emozioni autentiche. I giovani si rilassano, si commuovono, si aprono.
… e creare nuovi spazi
Uno spazio nuovo e più sicuro, che diventa possibile con un primo piccolo fondamentale accordo: iniziare a reinserire gradualmente i cibi desiderati, con il sostegno silenzioso e rispettoso dei genitori, presenti ma non invadenti. Un passo dopo l’altro, si comincia a uscire dalla trappola.
Quando la terapia è costruita su misura per il problema, quando segue la logica specifica del disturbo, il cambiamento può avvenire in tempi sorprendentemente brevi. Non perché si salti il dolore, ma perché si lavora dove il dolore prende forma.
Continueremo ad approfondire le tecniche per superare quei problemi che, in apparenza, ci sembrano irrisolvibili in uno dei prossimi corsi con il professor Nardone. Scopri gli appuntamenti di cui sarà protagonista cliccando qui!