Metti una mattina, le faccende, Igor Sibaldi ed io

ascoltare se stessi

Igor Sibaldi, studioso di teologia, filologia, filosofia e storia delle religioni, dice che per uscire dai nostri confini e per andare al di là del deserto non dobbiamo essere un noi, ma dobbiamo essere un Io; abbiamo sempre saputo invece che per cambiare le cose è necessario fare gruppo, fare rete, unire le forze. Sibaldi ci spiazza quando dice che dobbiamo occuparci della nostra personale lotta.

Ci si può pensare, in una qualsiasi mattinata mentre passiamo l’aspirapolvere: il momento ideale per fare metafisica e porsi delle domande. Soprattutto su quanto lui dice.

Fare gruppo o fare l’individuo?

Questa mattina mi sento un po’ giù di morale: mi sembra spesso di girare a vuoto e di non realizzare nulla.
Lavoro tanto e mi sembra di non concludere alcunché, di non arrivare da nessuna parte.
Giro attorno alle cose.

Continuo poi a fare confronti con gli altri: li guardo e mi sembrano sempre bravi, efficaci, realizzativi.
Degli altri noto che hanno la capacità di uscire dalla “zona di comfort” e anche di uscire proprio, di relazionarsi, di mettersi in gruppo e realizzare progetti. Di prendersi dei rischi.

Il fatto è che in casa propria si sta bene. Non a caso oggi mi dedico a tirarla a lucido, aspirapolvere alla mano.

Per fare passi avanti però sento, sentiamo, di dover uscire, in tutti i sensi: stare chiusi in casa non fa raggiungere alcun risultato. Giusto?

Sembra sempre che gli altri facciano meglio: nascono contatti, si fa rete, gruppo, comunità, anche affiatata. Ci si cerca.

Fare comunità non è da tutti. Costruire il noi è difficile e richiede costanza, impegno, capacità di relazione e negoziazione. Non è certo sempre “rose e fiori”.

L’individuo deve cedere il passo alla volontà del gruppo e non è per niente facile mettersi da parte per far spazio ad un obiettivo collettivo.

Tra un rumore di aspirapolvere e angolini da ripulire, rifletto sul perché mi è così difficile fare gruppo pur ritenendolo razionalmente una scelta ideale.

Mi è ostico ma sono anche un po’ allergica a tutto ciò. Sono una persona decisamente scomoda da gestire e che difficilmente si piega alle logiche imposte o suggerite da un gruppo.
Non mi piace piegarmi. Effettivamente. Sono ribelle.

I primi dubbi, le prime domande

Così mi è venuto in mente Igor Sibaldi, che spesso parla di disobbedienza come di un elemento importante dell’Io.

Come disobbediente vado alla grande: disobbedisco anche a ciò che io stessa reputo razionale. Mi disobbedisco da sola. Sorrido mentre ripasso con l’aspirapolvere la stessa mattonella da almeno due minuti.

Sibaldi dice chiaramente che il creare un noi, un gruppo in cui perdere una parte di sé, un concetto collettivo, non è la strada migliore. Non è la strada  per superare i nostri confini personali e ricercare la connessione con un Io molto più grande. Il contrario di ciò in cui credono in molti, me compresa. Invece, dice lui laconico: “Se c’è un ‘noi’ non esiste connessione”.

Mi fermo e spengo l’aspirapolvere. Devo solamente cambiare stanza, ma effettivamente inizio a pormi delle domande perché tutto questo mette in crisi alcune certezze.

Sicuramente non solo mie. Davvero il tema di comunità, rete, gruppo non è da perseguire?

Adesso bisogna uscirne da soli: la nostra è un’epoca di Noè. Noè non portò tanti umani sulla sua arca … si salvò da solo o quasi.

È il tema cardine del cambiamento, del costruire un mondo migliore: tornare all’Uno, connettersi, diventare un’unica cosa in un nuovo kosmos in cui non ci sarà più l’Io, con la sua individualità, ma solo un’unica entità, l’unica mente, l’unica volontà.

Sono nate filosofie, ideologie, religioni perché si pensava che da certe trappole della vita si potesse uscire in gruppo, con la forza del gruppo. Effettivamente sono due concetti opposti. Almeno all’apparenza.

Ci rifletto su, provo a guardare le cose da punti di vista differenti e inizio a pormi delle domande:

Sibaldi dice che per fare metafisica dobbiamo porci delle domande, fare come i bimbi che si chiedono sempre il perché e il senso delle cose. Farò metafisica con quello che ho ascoltato da lui. Si può fare metafisica su quello che ci dice Sibaldi? Credo non gli dispiaccia.

ascoltare se stessi

 

Non dobbiamo perderci in un gruppo, con le sue regole, il suo pensiero comune, il limitare dell’azione singola, con la sua gerarchia.

Dobbiamo essere un Io.

Un Io che si occupa della sua personale lotta, interiore, con il suo io piccolino.
Ma cosa significa?  Non sembreremmo egoisti a pensare soltanto a noi stessi?

Provo a trovare un elemento in comune, recuperandolo dal passato quando incontrai  una certa storia.

Seguimi. Intendo seguimi mentre passo l’aspirapolvere lungo le stanze di casa mia.

La storia è questa:

Dobbiamo tornare al Tutto perché è successo che un tempo il Tutto decidesse di scendere in questo mondo in cui sperimentare il concetto di separazione. Si è frammentato in varie individualità per capire come poteva sentirsi non essendo connesso. Decise quindi di vivere e sperimentare questo “gioco”, con gioia e piacere. Essendo quindi separati e giocando di vero impegno, le individualità si sono immedesimate in questa realtà perdendo memoria della connessione da cui provenivano e credendo infine di essere state in origine creature separate da tutto il resto.

Il “velo” di cui si sente parlare spesso è questa separazione che crediamo sia reale. Stiamo ancora giocando, convinti che sia estremamente serio, e cercando una maniera per tornare ad un’origine che in qualche modo sentiamo, in lontananza, essere nostra.

In una realtà di individualità, cerchiamo di sperimentare la connessione creando gruppi, comunità, reti e tutto quello che ci dà la possibilità di provare il tema dell’unione.
Un gioco che stiamo giocando troppo bene. Per noi non è più un gioco.

È una storia che ho sentito diversi anni fa e ogni tanto mi torna alla memoria.

Cosa c’entra con Sibaldi e con l’indicazione di curarci del nostro Io
Perché se è un gioco, penso, allora il nostro compito è giocare bene.
Non ci dice, forse, Sibaldi, di vivere e ricercare il nostro piacere? Cosa c’è di più piacevole che giocare un gioco e farlo con il piacere di giocarlo fino in fondo, sapendo che è un gioco? Dobbiamo sperimentare l’individualità, dice la mia storiella, e dobbiamo occuparci dell’Io, dice Sibaldi. Qui c’è il punto in comune.

Eureka!

Eureka nel senso che ho terminato di passare l’aspirapolvere. Farlo è un gioco che non mi piace per niente…

Il torto dell’aver ragione

Allora giochiamo, ma diventiamo consapevoli che è un gioco. E se è un gioco possiamo spingerci sempre un po’ più in là, tentare, sbagliare, riprovare, godere di ciò che scopriamo, immedesimarci in giochi sempre diversi: il nostro sperimentare prima o poi avrà fine; nel frattempo divertiamoci.

E’ quello che Sibaldi definisce come l’accorgersi e poi perseguire ciò che ci piace, come elemento di grande e fortissima connessione.

Adesso è il tempo in cui le tue scoperte le fai da te.

Toh! Più gioco e più mi connetto. E più mi connetto e più giocherò finché quel Tutto… mah, forse lo ritroverò. Non so… ho ancora molto da imparare, mi mancano alcuni elementi.

Ho però capito che dobbiamo vivere il gioco ponendoci un obiettivo diverso da quello che ci siamo posti fino ad ora: dobbiamo scoprire l’Io e se siamo qui è per concederci questa esperienza di Io che diventa sempre più grande ed esce dai suoi confini. Senza disperarci ma orientandoci verso ciò che è bello e piacevole, verso l’immaginazione e la capacità di desiderare sempre più in grande.

ascoltare se stessi

 

Sarà proprio così?

Dobbiamo avere aspirazioni personali senza perdere la nostra identità nei vari gruppi che incrociamo lungo la strada. Quale strada?

Quella nel deserto.
Nel deserto non mi basterà il mio aspirapolvere… troppa sabbia…
Quando ci accorgiamo che la vita è come un gioco possiamo iniziare ad astrarci e a guardarla a distanza, da punti di vista differenti e meno coinvolti. Magari da un centro, fisso come il perno di un orologio.

Sono riuscita ad unire ciò che Sibaldi dice con il tema del noi a quegli argomenti tanto cari all’esoterismo e nei quali ho visto troppe volte le persone perdersi sotto l’ala protettrice del guru di turno, delegando se stessi.

Fortunatamente Sibaldi non verrà mai a conoscere i miei pensieri mattutini, in tuta e ciabatte.

Ho fatto metafisica ponendomi delle domande e cercando le risposte.
Ho trovato il modo di dare un senso a due temi che sembrano in contrapposizione. Ora ho un punto fermo da cui ripartire.

Ecco. La metafisica sibaldiana dice anche che se hai delle certezze, se hai trovato delle risposte, se pensi di essere nella verità è il momento in cui sei lontano dalla connessione e dall’uscire dai tuoi confini, dal diventare più grande.

Sono quindi ancora dentro al mio deserto? Ho semplicemente fatto un esercizio per “avere ragione”?

Iniziamo ad uscire dal nostro deserto, i nostri confini personali, quando capiamo di avere avuto torto su tutto e rimettiamo in discussione ogni cosa che prima sapevamo essere giusta.

Oggi ho messo in discussione un tema importante ma ho voluto aver ragione. Ho voluto per forza di cose trovare quel punto in comune che salvasse le mie vecchie convinzioni, informazioni, certezze.
Accidenti! Ho avuto torto sul mio aver ragione.

Mi ci vorrà ancora un po’ di metafisica, di sane domande e di cammino mentre ancora passeggio nel mio deserto e cerco di andare oltre. Ma almeno ho iniziato a passeggiare.

Tu non sai niente: è il segreto per poter cominciare a muoversi nel deserto.

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