“Diventare un Buddha? Non è difficile: basta applicarsi. Per ora accontentati di sapere che è possibile diventare un Buddha, che è possibile per tutti. Anche per te. Perché, come ha detto il Buddha, ogni essere umano ha natura di Buddha, cioè ogni essere umano può diventare un Buddha”.
Lo scrive lo psicologo e psicoterapeuta Giulio Cesare Giacobbe nel suo celebre libro Come diventare un Buddha in cinque settimane: Manuale serio di autorealizzazione. Il professore mette sotto la lente di ingrandimento i testi del buddismo e le testimonianze che riguardano quella straordinaria figura che era Siddhārtha Gautama, conosciuto a tutti come il Buddha.
Gautama Buddha giunse a quella comprensione totale che disperde ansie e dolori psicologici. Li sostituì con l’amore e l’accettazione. Non vedeva differenza alcuna tra comprensione e amore, perché senza comprensione non può esistere amore e senza amore non vi può essere giusta azione. I suoi lasciti possono rivelarsi utili per una nostra grande aspirazione, che Giacobbe inserisce proprio all’interno del titolo: l’autorealizzazione.
“Io insegno soltanto ciò che serve a realizzare La Via. Ciò che è inutile non lo insegno. Al di là del fatto che l’universo sia finito o infinito, temporaneo o eterno, c’è una verità che si deve accettare: la realtà della sofferenza”.
Perché parlare di Buddha dopo tanti secoli? Che senso ha appellarci a una figura esistita in un luogo e un tempo tanto lontani?
Ce lo abbiamo presente, il Buddha, nelle tante rappresentazioni – figurative e non – e sembra un personaggio estraneo dalla nostra quotidianità. Eppure, ciò che lo psicologico dice è che quello di Buddha è un metodo psicologico, un metodo che può venirci in soccorso quando il nostro pensiero ricade in schemi di sofferenza e per chiarire la nostra autorealizzazione. Non dev’essere visto come una “tecnica” per farci ottenere qualcosa: vuoi avere successo? Fai questa pratica! Non funziona proprio così. Ma possiamo aprirci totalmente all’esplorazione di questi insegnamenti, filosofie e dottrine per accogliere in noi il desiderio di entrare il più possibile in uno stato di Buddità.
Cos’è la Buddità? Cos’è un Buddha?
“Cos’è un Buddha?
Un Buddha non è un dio, un santo, un super uomo o un essere sovrumano; il Buddha non è considerato una divinità nemmeno dalla religione buddista, che lo vede come il fautore della liberazione dalla schiavitù delle rinascite.
È uno di noi.
Uno qualunque. È semplicemente uno che ha eliminato la sofferenza.
Attenzione: non dal mondo ma da dentro di sé.
Non soffre più.
Non s’adira.
Non odia.
Non prova gelosia, invidia, rancore.
E neppure tristezza, ansia, angoscia.
E neppure bramosia, avidità, egoismo.
Ma cosa vuol dire: che è un apatico, indifferente, senza sentimenti?
Nossignori.
I sentimenti ce li ha.
Tutti.
Ma non li esaspera.
Non li fa crescere.
Non se ne fa schiavo.
Non li alimenta.
Parlo di quelli negativi.
Alimenta soltanto quelli positivi.
Che sono serenità, pace, allegria, gioia, armonia, amore.
Riesce cioè a rimanere sereno dentro di sé nutrendosi di sentimenti positivi, godendosi i sentimenti positivi e neutralizzando i sentimenti negativi.
La sua mente è sempre serena, calma.
Il suo corpo è sempre rilassato.
Non ha più stress, tensione.
Vive di gioia, di allegria, d’armonia, d’amore.
E infonde intorno a sé gioia, armonia, amore, allegria, buon umore.
Perché ha conquistato la serenità.
La Via indicata dal Buddha”.
Gli 8 nobili sentieri – l’insegnamento di Buddha
Gli 8 nobili pensieri (Ottuplice Sentiero) corrisponde all’ultima delle Quattro nobili verità, elemento cardine della dottrina buddhista. Comprenderli, in questo articolo, rappresenta il primo passo per affrontare l’argomento dei cinque poteri, che non sono altro che 5 facoltà, latenti nell’uomo, ma dimenticate.
Ecco quali sono gli 8 nobili pensieri:
- Retto Sforzo
- Retta Concentrazione
- Retta Presenza Mentale
- Retta Comprensione
- Retto Pensiero
- Retta Parola
- Retta Azione
- Retta Professione.
“Fratelli, perché chiamo questi sentieri i Retti Sentieri? Li chiamo “Retti” perché non negano la sofferenza, ma indicano nell’esperienza della sofferenza stessa il mezzo per superarla. Il Retto Sforzo produce la Retta Concentrazione e la Retta Presenza Mentale. La Retta Presenza Mentale conduce alla Retta Comprensione. La Retta Comprensione costituisce l’Illuminazione. La Retta Comprensione genera il Retto Pensiero. Il Retto Pensiero genera la Retta Parola, la Retta Azione e la Retta Professione. Due sono gli estremi che chi percorre i Retti Sentieri deve evitare. Il primo è l’immergersi nei piaceri dei sensi, il secondo è la mortificazione che nega al corpo le sue necessità. Il cammino da me scoperto è la Via di Mezzo, che evita entrambi gli estremi e conduce alla Conoscenza, alla Consapevolezza, alla Liberazione”.
(citazione da Suttapitaka, Samyutta-Nikaya, Dhammacakkapavattana Sutta)
Occorre fare una piccola premessa: i nostri pensieri non appartengono alla realtà, ma a un mondo immaginario. E la nostra attenzione, quotidianamente, costantemente, è fissa lì, in quel mondo immaginario. I fantasmi dei nostri pensieri sono:
“generati dal vostro attaccamento, e quindi dal vostro desiderio, dal vostro odio, dalla vostra ira, dalla vostra paura.”
(Suttapitaka, Samyutta-Nikaya, Dhammacakkapavattana Sutta).
Seguendo questi 8 nobili sentieri, il Buddha ha raggiunto l’illuminazione, la coscienza e la liberazione. Vediamo gli obiettivi.
Gli obiettivi pratici, le 5 facoltà degli 8 nobili sentieri di Buddha
Questi sono:
- Il controllo della mente
- La presenza nella realtà
- La consapevolezza del cambiamento
- Il non attaccamento
- L’amore universale.
Vediamoli dunque tutti e 5 nello specifico.
3 – Il controllo della mente
Il retto sforzo (cioè l’osservazione del pensiero), il retto pensiero (il controllo del pensiero) e la retta concentrazione (ovvero il vuoto mentale) realizzano il primo potere: il controllo della mente. Per controllare la mente occorre osservarla: osservare le proprie percezioni e i propri pensieri.
“Per colui il cui pensiero non divaga, la cui mente non è trascinata, che ha abbandonato bene e male, per colui che è vigilante, per costui non esiste la paura”.
Buddha
Il vuoto mentale permette di essere presenti nel mondo (cioè la retta presenza). Questo non è altro che il secondo potere: la presenza mentale.
2- La presenza nella realtà
La presenza nella realtà, “cioè nell’attenzione rivolta alla realtà e nell’interazione consapevole con essa”, conduce alla scoperta di una legge universale: l’impermanenza di ogni cosa, la consapevolezza, cioè della transitorierà di tutti i fenomeni che ci circondano. È l’Illuminazione, cioè la retta comprensione della realtà. Anche se la presenza nella realtà precede la consapevolezza del cambiamento, la seconda facoltà non è altro che la capacità umana di “portare l’attenzione all’esterno della mente”: per riuscirci, è importante che la nostra mente sia libera dal pensiero compulsivo. Ecco perché “il controllo della mente” viene prima di tutto.
3 – La consapevolezza del cambiamento
Cambiamento, interdipendenza e consapevolezza: una consapevolezza che, non a caso, rappresenta proprio quell’illuminazione che è il cardine del buddismo, la base su cui esso si erige. La consapevolezza del cambiamento è l’accettazione – senza sofferenza – che nulla è destinato a rimanere così com’è. Tutto ciò che conosciamo è destinato a cambiare. Anche i nostri stati mentali, all’interno della mente, mutano.
Scrive Giacobbe:
“Tutto è in continua trasformazione: questa è la grande scoperta che noi facciamo osservando la realtà per quello che è. E questa grande scoperta costituisce la famosa illuminazione.”
4 – Il non attaccamento
La consapevolezza del cambiamento conduce al non attaccamento. Mentre il primo obiettivo agisce a livello intellettuale, questo agisce sul piano comportamentale. Rappresenta l’essere coscienti della precarietà della nostra presenza, di coloro e di ciò che amiamo, di tutto ciò che è oggetto del nostro “possesso affettivo”. Su questo quarto potere occorrerebbe meditare sempre per riuscire a far nostra l’idea della precarietà di qualsiasi cosa.
5 – L’amore universale
L’ultima facoltà a cui aspirare è l’amore universale. È lo stesso Buddha a indicare come l’amore universale sia la sua dimensione mentale.
“Fratelli il retto pensiero consiste nel pensiero in cui c’è l’amore universale”.
(Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Piyajatika Sutta).“Compassione e dedizione hanno come fine la felicità di tutti e non pretendono nulla in cambio. Senza di essi, senza l’amore universale, la vita è senza gioia. Con la compassione e la dedizione agli altri, con l’amore universale, la vita si colma di pace e di gioia.”
(Thich Nhat Hanh, Old Pth White Clouds (1991); trad. It. Vita di Siddharta il Buddha, Ubaldini, 1992, pag. 189)
È solo attraverso l’amore universale che possiamo trovare la serenità. Come scrive Giacobbe:
“Con l’amore universale la vita si colma di pace e di gioia. L’amore universale può realizzare compiutamente lo stato di buddità.
Si può nutrire soltanto con una mente libera dalla paura, con un contatto con la realtà, con la liberazione dai bisogni. Non ha confini, né condizioni, né termine, l’amore universale è un’emozione che riempie la nostra mente e il nostro corpo fino all’ultima nostra cellula. È essere in contatto con l’universo; è diventare l’intero universo.”
Abbracciare lo stato di Buddità: da Buddha alla serenità
Quando pensiamo alla parola serenità, i retaggi culturali, il particolare periodo storico e altri meccanismi psicologici, inconsci e non, ci rimandano a qualcosa di egoistico. Come se la serenità fosse un guadagno extra, qualcosa che non è di questo mondo, quasi fosse un’offesa, per noi stessi e per gli altri, quasi fosse uno schiaffo alla quotidianità.
“La prima cosa da capire è che devi mettere la tua serenità al di sopra di qualsiasi altra cosa. Non credere che questo sia un atteggiamento egoistico; con l’ansia e la paura non puoi risolvere nessun problema meglio di quanto possa fare con la calma e la serenità. Non puoi aiutare nessuno se non conservi la tua serenità. È come quando l’aereo vola ad alta quota e manca ossigeno: non puoi aiutare i bambini a mettere la mascherina, se prima non la metti tu. Non puoi aiutare gli altri se stai male tu. Serenità, infatti, significa efficienza”.
Scrive Giacobbe.
Nel corso di un’intera giornata che ha tenuto con noi, il professore ci ha guidati nell’apprendere le tecniche di svuotamento della mente, di vuoto mentale e di osservazione del mondo che ci circonda.
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