E se tornassimo a parlare di piacere?

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Piacere: facciamo il punto

Uno degli effetti più estesi della pandemia è stato senza dubbio il proliferare della FOMO: il prolungarsi delle misure restrittive ha creato l’assuefazione alla restrizione, generando un mondo artificioso privo di buone sensazioni. L’abitudine alla rinuncia porta con sé una nuova paura: quella di non essere più preparati a vivere certe emozioni, col conseguente allontanamento volontario e la privazione di qualsiasi esperienza. 

Si tratta di un paradosso per una cultura come la nostra che, fino a febbraio 2020, sembrava proiettata verso il piacere a tutti i costi, con una deriva: la convinzione di avere il diritto a non sforzarci per ottenerlo. 

Il piacere. Come eravamo

Il secolo scorso ha celebrato il piacere: gli anni ’60-’70 sono stati gli anni della liberazione del piacere nei confronti di qualsiasi cosa. Era il periodo in cui tutto ciò che era piacere diventava per definizione giusto e sano. 

“Ed è proprio questo diritto – sottolinea il professor Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta – che riduce il senso di piacere. Una cultura basata sull’idea che tutto ciò che si fa per il piacere per definizione è sano e corretto è una cultura di disperati. Costruire una ripetizione continua di piaceri fa sì che il nostro sistema percettivo si ottunda su questo stimolo, trasformandolo in noia.”

La vera sfida di questo periodo di transizione è quella di trovare il giusto equilibrio tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati.

Come siamo diventati

La pandemia ci ha costretti a casa, ha cambiato i nostri ritmi, il lavoro, la gestione dei figli…  Ma soprattutto ci ha tolto la progettualità del piacere, di guardare al futuro con entusiasmo, organizzando momenti della nostra vita capaci di darci stimoli ed emozioni positive.

Secondo la Dott.ssa Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, “non avere più niente da attendere significa anche non sperare”.

È la speranza che ci muove: speriamo di trovare un’anima gemella, che un colloquio di lavoro vada bene. E allora facciamo di tutto perché ciò si realizzi. Ma, fermi davanti all’inattività imposta, smettiamo di pianificare, di immaginare situazioni “piacevoli”, perché sappiamo che non possiamo realizzarle: è l’effetto limbo, in cui l’incertezza blocca la progettazione.

Cosa fare?

Effetto limbo e saturazione del piacere sono due lati della stessa medaglia: per motivi diversi, il piacere è un’emozione che ha perso i connotati di gioia e di benessere.

Ma il piacere è tra le quattro emozioni di base, quindi ha un posto di primo piano nel nostro equilibrio psicologico. Imparare a convivere con l’ambivalenza del piacere in una situazione sociale che, sì si sbloccherà, ma non sappiamo ancora bene quando, è di vitale importanza per reimpossessarci della progettualità, della speranza e della gioia.

La chiave, oggi come quarant’anni fa, è sempre la stessa: dobbiamo imparare a gestire il piacere per non esserne travolti.

Le quattro emozioni di base (paura, rabbia, dolore e piacere)

Un aiuto in tal senso arriva da Giorgio Nardone, che da più di 30 anni studia le quattro emozioni di base (paura, rabbia, dolore e piacere):

“La regola di fondo di tutti i piaceri è: se me lo concedo, posso rinunciarci, se non me lo concedo diventa irrinunciabile.”

Inibire per troppo tempo il piacere non è sano, perché prima o poi il forte desiderio ci può travolgere. Concederci il piacere in spazi e tempi pianificati, invece, produce un benefico effetto: acquisire competenza a prescriverci il piacere in spazi e tempi delimitati consente di canalizzare quel piacere. Significa che, al di fuori di quei tempi e spazi, riusciamo a rinunciarvi. E questa rinuncia non è negativa! Infatti, farà si che tutte le volte in cui proveremo quel piacere, lo sentiremo intensamente, perché questo è in linea con il funzionamento fisiologico della nostra percezione sensoriale.”

Parleremo di gestione delle emozioni in uno dei nuovi corsi con Giorgio Nardone. Scopri il prossimo cliccando qui!

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