4 comportamenti diffusi e dannosi per noi stessi e per gli altri: come migliorarli

Il concetto di psicotrappola

“Qualunque impedimento al soddisfacimento delle proprie esigenze fisiche, mentali o affettive, anche autogenerato, si paga”: questo è proprio ciò che avviene quando la nostra mente è ingabbiata da alcuni comportamenti ricorrenti e dannosi che essa stessa crea. Questi comportamenti possono essere riassunti dal concetto, sviluppato da Giorgio Nardone, di psicotrappola: si tratta di una strategia prodotta dal nostro cervello allo scopo di risolvere dei problemi ma che, in realtà, non fa che aumentarli. Per spiegare meglio l’effetto delle psicotrappole nella nostra vita, prendiamo come esempio il romanzo di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde: il libro parla di un rispettabile uomo di scienze, il dottor Jekyll, che, assumendo una pozione inventata da lui stesso, si trasforma in una creatura malvagia, il signor Hyde. Hyde non è un essere completamente diverso da Jekyll, bensì concentra le sole inclinazioni negative della sua psiche: quando queste prendono il sopravvento sulla sua mente, Jekyll non riesce più a controllarle e arriva a compiere azioni terribili, _no alla propria autodistruzione. Ovviamente le psicotrappole, nei casi più comuni, non hanno conseguenze tanto nefaste, ma i processi a cui danno origine sono simili a quelli sopra descritti:

  • Perdita di consapevolezza e libertà nelle azioni e nelle decisioni.
  • Influenza di meccanismi psicologici controproducenti sui propri comportamenti;
  • Ripetizione di tentate soluzioni fallimentari che, anziché porre fine a questo circolo vizioso, non fa che aumentarne gli effetti dannosi.

Una psicotrappola è una strategia applicata di continuo nella convinzione che essa aiuti a risolvere una difficoltà, quando in realtà così non è.  Poco importa se ne siamo convinti perché la riteniamo la tattica più logica, la più ovvia o la sola possibile, oppure perché essa si è rivelata utile in passato quando l’abbiamo utilizzata in un’altra situazione: a prescindere da queste considerazioni, non è possibile individuare un metodo migliore di un altro nel rispondere ai problemi, dato che ogni circostanza è diversa e va affrontata in modo diverso.  Non farlo sarebbe un po’ come indossare lo stesso paio di scarpe sia ad una serata di gala, che ad una passeggiata in riva al mare, basandosi sul fatto che sono le più comode che abbiamo.  Chi cade in questo errore non fa che ripetere gli stessi atteggiamenti disfunzionali perché la mente, convinta di essere sulla strada giusta, è sicura che prima o poi riuscirà nell’intento.  Ovviamente questo non accade, anzi: tale insistenza, totalmente improduttiva, ha come unico risultato quello di rendere sempre più sfiduciati rispetto alle proprie capacità di gestire il problema.  In questo modo ognuno di noi costruisce da solo la propria prigione mentale e comportamentale: “la persona più facile da ingannare la vedi riflessa nello specchio”.

Le conseguenze delle psicotrappole e le 3 tentate soluzioni

Le psicotrappole possono essere di vario tipo, e di solito non si verificano in modo isolato: il più delle volte le persone ne mettono in pratica più di una, aumentando la probabilità che tale combinazione, se prolungata, conduca a vere e proprie patologie.  Ad esempio, coloro che soffrono di una paura patologica solitamente attuano contemporaneamente più psicotrappole e le affrontano applicando le tentate soluzioni seguenti:

  1. Fanno il possibile per evitare tutte le situazioni che li spaventano, cercando di scacciare persino i pensieri che generano inquietudine
  2. Tendono a chiedere rassicurazione e protezione alle persone loro vicine
  3. Provano costantemente a controllare le proprie reazioni psicofisiologiche, come il battito cardiaco, la frequenza respiratoria, il senso di equilibrio.

Tali comportamenti riescono a ridurre la sensazione di paura solo apparentemente: a ben vedere, col tempo, non fanno che alimentarla. Vediamo nel dettaglio le conseguenze negative di queste 3 tentate soluzioni:

  1. Evitando una situazione che spaventa si prova sollievo nell’immediato, ma in realtà ci si dice inconsciamente che non si è capaci di affrontare il problema, e questo lo fa percepire come ancora più pericoloso e temibile, generando un effetto a catena che tiene imprigionati. Questo processo conduce inevitabilmente ad accrescere la paura, anziché diminuirla;
  2. Chiedere protezione e aiuto ad altri inizialmente fa sentire al sicuro, tuttavia, anche in questo caso, a lungo andare aumenta la convinzione di non saper fronteggiare il problema da soli, provocando una completa disistima delle proprie risorse personali. Ovviamente l’aiuto va chiesto a professionisti: psicologi, psicoterapeuti o psichiatri.
  3. Il tentativo di controllare mentalmente le proprie spontanee reazioni fisiologiche sortisce l’effetto contrario, cioè le altera. Più si cerca di controllare il proprio battito cardiaco, più questo aumenta; più si cerca di regolarizzare la propria respirazione, più se ne snatura il normale fluire; più si cerca di dominare il proprio senso di equilibrio, più ci si sente instabili. Si tratta di un paradosso: più proviamo a mantenere il controllo più lo perdiamo, alimentando la paura. Si arriva così a sentirsi vittime di qualcosa contro cui non si può vincere in alcun modo.

I 4 comportamenti limitanti che ci impediscono di vivere bene

Quando tutte e 3 queste tentate soluzioni fallimentari vengono messe in pratica contemporaneamente, bastano alcuni mesi per dare origine a veri e propri disturbi, come gli attacchi di panico.  Essi, inizialmente, si presentano in concomitanza di situazioni che si vogliono evitare ma poi, gradualmente, diventano sempre più frequenti, finché si verificano senza bisogno di alcuno stimolo esterno: si giunge alla cosiddetta “paura della paura”.

Le psicotrappole, perciò, sono meccanismi che avvinghiano realmente la nostra mente e, nei casi peggiori, sono addirittura capaci di ostacolare lo svolgimento di una vita normale e serena.  Cosa possiamo fare, dunque, per liberarci da queste prigioni mentali?

Qui troverete le soluzioni alle 4 psicotrappole più diffuse, grazie a cui porre fine ai comportamenti sbagliati di cui non sempre ci rendiamo conto e affrontare la vita quotidiana in modo più flessibile e funzionale.

1 – Io al centro del mondo: l’inganno delle aspettative

La psicotrappola in assoluto più frequente è la tendenza ad aspettarsi che gli altri usino i nostri stessi criteri nella loro interpretazione del mondo, cioè che tutti reagiscano alle situazioni esattamente come faremmo noi, nella convinzione che i nostri valori, deduzioni e percezioni siano i più validi e giusti. Questo autoinganno ci porta a credere che chiunque, in ogni situazione, deciderebbe e agirebbe proprio come noi.  Il fatto che questa sia una psicotrappola è abbastanza evidente: ciascuno di noi costruisce le proprie idee e la propria visione del mondo facendo esperienze diverse, che sono vissute in contesti diversi, perciò non possono esistere due persone che si comportano e pensano in modo identico in una data circostanza. Inoltre, ognuno è dotato di caratteristiche biologiche e psicologiche del tutto originali e irripetibili, cosa che rende le nostre reazioni agli eventi ancora più uniche e personali.  Per quale motivo, dunque, cadiamo in questa psicotrappola?  L’autoinganno si crea perché tutti ci illudiamo di agire in base a idee che sono solamente nostre, eppure sono pochi coloro che lo fanno senza subire alcun condizionamento esterno: il più delle volte, al contrario, le nostre risposte agli stimoli sono influenzate da rigide convinzioni e da schematizzazioni riduttive, se confrontate alla reale complessità del mondo.  Nell’affrontare ogni situazione ci facciamo guidare non tanto da libere valutazioni circa le molteplici possibilità di scelta a nostra disposizione, bensì da preconcetti su ciò che è giusto o ingiusto fare, da valori etico-morali da rispettare, da regole e insegnamenti tramandati dalla società e dalla famiglia, perché abbiamo imparato che tutti questi elementi sono utili a risolvere i problemi che ci si presentano, arrivando quindi a ritenerli i più giusti da adottare.

Di conseguenza, non riusciamo più a immaginare modalità alternative di pensare e di gestire la vita e, quando qualcuno segue altri principi ragionando ed agendo secondo schemi diversi dai nostri, andiamo in crisi: non accettiamo una simile di­fferenza e ci sentiamo amareggiati se gli altri non si comportano come faremmo noi.  Questa psicotrappola è così di­ffusa che si estende a tutte le sfere della nostra esistenza, generando cocenti delusioni, senso di sconfitta, abbattimento, sino a forme di depressione o reazioni di rabbia e aggressività che possono sfuggire al controllo.  In particolare, il disagio aumenta quando non sono gli altri a tradire le nostre aspettative, bensì noi stessi: pensate a quante volte ci diciamo quale sarebbe la cosa giusta da fare ma poi vorremmo farne un’altra, ritrovandoci ad a­ffrontare un conflitto interno tra desideri autentici e convinzioni radicate.  Questo accade, ad esempio, quando vorremmo fare un lavoro più vicino alle nostre aspirazioni personali e che metta alla prova le nostre capacità naturali ma, dato che abbiamo già una posizione sicura, insistiamo nel portarla avanti nonostante essa ci renda insoddisfatti, perché siamo convinti che questo sia l’atteggiamento più giusto e maturo in una simile situazione.  Per cui, anche se nel nostro animo sappiamo bene cosa vogliamo davvero e come potremmo ottenerlo, preferiamo non ascoltarci pur di non tradire le aspettative nei nostri confronti.

Da un punto di vista cognitivo si potrebbe affermare che questa psicotrappola si basi sulla nostra scarsa abilità ad assumere diversi punti di vista nella valutazione delle cose: restiamo rigidamente ancorati a credenze rassicuranti, pensando che esse ci aiutino a scegliere e agire nel modo migliore mentre, al contrario, ci ritroviamo incapaci di affrontare le circostanze in modo pienamente consapevole.

Soluzione

In questo caso non esiste uno stratagemma terapeutico da usare come antidoto al problema: l’unica soluzione possibile per uscire da questa psicotrappola è assumere un atteggiamento mentale che ne prevenga la formazione. La psicosoluzione, perciò, consiste nell’addestrarsi a guardare la realtà anche con gli occhi degli altri, non solo coi nostri o con quelli delle persone più affini a noi.  Cercare, cioè, di assumere il punto di vista di tante persone differenti.  Questo deve essere un esercizio costante se vogliamo evitare che la nostra mente ristabilisca le rigide schematizzazioni a cui è abituata, ricadendo così nei comodi autoinganni e nelle solite inamovibili convinzioni, dato che questo è il suo naturale modo di funzionare.  La psicosoluzione migliore, in pratica, è applicare con costanza l’imperativo etico di H. von Foerster: “comportati sempre in modo da aumentare le possibilità di scelta”.

2 – Mai un passo indietro: l’inganno dell’ipercoerenza

“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione” diceva James Russell Lowell.  Viene allora spontaneo chiedersi: come mai dimostrare coerenza con le proprie idee e con i propri valori è considerata una qualità fondamentale dalla maggior parte delle persone?  La coerenza è certamente importante nei processi mentali e nei comportamenti, tanto che pure Aristotele ne sottolineò la centralità per il ragionamento logico, ma a volte essa può assumere tratti negativi che la rendono un ostacolo al corretto modo di pensare e di agire nella vita.  Ci riferiamo a tutte quelle volte in cui le persone la confondono con una immotivata ostinazione a difendere le proprie posizioni nonostante queste le allontanino dalla felicità, perché non combaciano coi loro veri desideri.  Potremmo dire che, in simili casi, la coerenza si trasforma in ottusità e mancanza sia di perspicacia che di flessibilità, elementi alla base di una efficace reazione all’infinita varietà di situazioni che la vita propone.  La cosa più interessante è che, nonostante la storia abbia già dimostrato in moltissime occasioni quanto tale confusione sia pericolosa per la nostra intera società, gli uomini continuano comunque a cadere nello stesso errore: come affermava Franklin, “è esperienza nota che gli esseri umani non imparano dall’esperienza”.

La storia delle religioni e delle rivoluzioni ha insinuato nelle nostre menti l’idea che la coerenza sia un valore da sostenere ad ogni costo, a prescindere dagli effetti che potrebbero derivarne.  Pensiamo alle Crociate, alla Guerra Santa e a tutti gli atti di martirio compiuti in nome della coerenza con la propria fede, aspetti che, tra l’altro, ritroviamo tutt’oggi nelle terribili vicende che scuotono l’opinione pubblica e che ostacolano la pacifica convivenza tra popoli e culture diverse.  Oppure riflettiamo sull’esaltazione a scopi politici dei ribelli e di quanti sono stati condannati solo perché non volevano sottomettersi ad imposizioni autoritarie, tradendo le proprie idee. A ben vedere, la filosofia di Marx, con il concetto di lotta di classe, ha fatto del principio di coerenza ideologica un vero e proprio perno del cambiamento sociale.  Ecco pertanto spiegato come mai, già da tempi antichi, la coerenza fosse considerata una virtù fondamentale per l’uomo e ancora oggi continui ad esserlo nonostante la portata dei cambiamenti storici, politici e culturali che sono seguiti.  Attenzione: con questo non si vuole screditare il valore della coerenza nella vita di ogni giorno, bensì si cerca di chiarire la differenza tra applicazione efficace della coerenza e le sue manifestazioni disfunzionali, a causa di cui essa può diventare pericolosa per se stessi e per gli altri.

Se prendiamo in esame alcuni casi patologici, questa psicotrappola si fa evidente nei soggetti paranoici, i quali ritengono che difendersi dagli altri a qualunque costo, persino commettendo atti efferati, sia non solo ragionevole, ma pure perfettamente coerente rispetto alle proprie convinzioni: perciò essi si sentono legittimati ad agire in modo delittuoso.  Passando a esempi più pratici, invece, tali osservazioni possono estendersi anche alla sfera economica, dato che le aziende sono organismi dinamici costituiti da persone. Difatti, di coerenza muoiono tante aziende, perché non tutte sono abbastanza flessibili da adattarsi agli sviluppi e ai cambiamenti dei mercati e delle tecnologie.  Tutto ciò dimostra che la coerenza, trasformata da strumento di logica in dogmatica procedura, può rendere intransigenti e incapaci di adeguarsi alle evoluzioni e ai molteplici aspetti del mondo in cui ci viviamo. Si tratta di un effetto che lede il cardine fondamentale della sopravvivenza e dello sviluppo dei sistemi viventi, ovvero il principio di adattamento: la coerenza a tutti i costi è un’assunzione inefficace in molte delle realtà che sperimentiamo. Per rendercene conto non dobbiamo andare a cercare lontano, basta guardarsi intorno nella vita di tutti i giorni: avete mai conosciuto una persona del tutto coerente nei suoi pensieri e nelle sue azioni?  Certamente no, e ne siamo sicuri perché una certa incoerenza è insita nella stessa natura umana: oscilliamo senza sosta sospinti tanto dai venti delle nostre passioni quanto dalle folate dei nostri desideri, siamo risucchiati dai vortici dei nostri tormenti e trascinati dalle correnti delle nostre sofferenze, risollevati dai nostri successi, poi sbattuti a terra dalle delusioni, esaltati dall’amore, annichiliti dal rifiuto.

Siamo come delle piccole barche in balia di un mare in tempesta, che vengono scaraventate prima da una parte, poi dall’altra: possiamo attraversare momenti di calma, tuttavia la tranquillità non è eterna e prima o poi la burrasca tornerà a scuoterci.  La coerenza assoluta non fa parte della nostra realtà, perciò pretenderla dagli altri o dai noi stessi è una psicotrappola da cui faremmo bene a salvaguardarci se vogliamo affrontare l’esistenza in modo più equilibrato e felice.

Soluzione

Bisogna imparare ad accettare le incoerenze altrui oltre alle nostre ed evitare di imporsi come giudici severi degli altri e di noi stessi ogni volta che notiamo qualche discrepanza nelle azioni o nei comportamenti che ci circondano. Nessuno è perfetto e tutti sbagliano, questo lo sappiamo: quello che dobbiamo capire è che cambiare idea, rovesciare le proprie posizioni, tirarsi indietro di fronte a qualcosa in cui non crediamo più come prima non sminuisce il nostro valore, bensì è segno di intelligenza attiva.  Sperimentare diverse strade, avviare più percorsi e poi scegliere quello più adatto a noi abbandonando gli altri è il solo modo che abbiamo per prendere decisioni consapevoli, liberi da indicazioni altrui: “il saggio muta consiglio, lo stolto resta della sua opinione”, diceva Petrarca.

3 – Uscire dal campo minato: l’inganno dell’evitamento

Come già anticipato, evitare tutto ciò che si teme costituisce il comportamento tipico del soggetto fobico, il quale, così facendo, crede di mantenersi al sicuro dai rischi. In realtà questa è solo un’illusione, come conferma anche Pessoa quando dice: “porto addosso le ferite di tutte le battaglie che ho evitato”.  Cosa significa questa frase?  In sostanza, ribadisce che evitare di continuo situazioni considerate pericolose ha effetti controproducenti: se, da una parte, questo comportamento conforta chi lo adotta, dall’altro ne aumenta il senso di insicurezza, oltre a confermarne l’incapacità di affrontare e superare gli ostacoli schivati di continuo.  Il costante ripetersi di questo copione, oltretutto, non fa che accrescere il timore suscitato da alcune circostanze: è lo stesso principio secondo cui una piccola ed innocua palla di neve, rotolando lungo una montagna, nel suo percorso accelera e si ingrandisce fino a diventare incontrollabile e a travolgere tutto ciò che trova davanti a sé.  Quindi, paradossalmente, ciò che facciamo per sentirci protetti finisce con l’esporci ancora di più ai pericoli, con l’ulteriore aggravante che la paura, aumentando gradualmente, può raggiungere i livelli di una vera e propria patologia fobica nei casi più gravi. L’evitamento è, dunque, una psicotrappola sottile e subdola, in cui quello che dapprima ci aiuta poi ci danneggia: “spesso la paura di un male ci conduce a uno peggiore”.

Soluzione

Non ci sono molte alternative: bisogna affrontare quello che la vita ci propone, a maggior ragione se qualcosa ci spaventa e siamo tentati di evitarla.  Questo non è un incoraggiamento a buttarsi alla cieca in ogni tipo di situazione, o a non ponderare in modo oculato eventuali rischi e pericoli in modo da prevenirli: si tratta di un invito a fare esperienza diretta delle cose così da decidere in modo consapevole se andare avanti o meno, piuttosto che evitarle a prescindere.  Scappare dalle esperienze è segno di paura; al contrario, adottare un atteggiamento predisposto al confronto e poi, se necessario, interrompere un’azione ritenuta inadeguata o inutile, è segno di intelligenzaNon dimentichiamo, inoltre, che fare esperienza diretta di quante più cose possibili aiuta a far affiorare le proprie risorse nascoste, sviluppando la fiducia in se stessi e aprendo nuove prospettive di vita.

4 – Dire, fare o aspettare? L’inganno del rimandare

 Questa psicotrappola, simile all’evitamento, consiste nel rimandare continuamente il confronto con elementi che infastidiscono. Ad un’attenta analisi, tuttavia, si nota che il procedimento messo in atto in tal caso è diverso.  Il rimandare, infatti, è una psicotrappola più sottile poiché non porta semplicemente a rinunciare di fare qualcosa, ma spinge a dire “lo farò più tardi, o domani, o nel prossimo futuro”: in questo modo ci illudiamo di mantenere il controllo delle nostre decisioni, mentre non è affatto così.

Ci inganniamo di poter fare quello che rinviamo, come se questa fosse una scelta consapevole, ma l’autoinganno prima o poi si rivela e, di solito, ciò avviene quando siamo costretti ad affrontare quel che era stato posticipato finora: solo a questo punto ci rendiamo finalmente conto di aver agito contro il nostro stesso interesse.  Tutti siamo caduti in questo tranello almeno una volta, tanto riguardo ad azioni di poco conto quanto a decisioni più importanti:

  • Voler seguire uno stile di vita più sano, mettendoci a dieta o andando in palestra, e dirci ogni settimana “inizio da lunedì” per poi non farlo mai
  • Dover preparare un esame o un progetto di lavoro importante e molto impegnativo e, anziché concentrarci subito su di esso, dedicarci a tutta una serie di altre attività più leggere dicendoci “domani avrò più tempo a disposizione”, salvo poi renderci conto che i tempi stringono
  • Continuare a risparmiare per un investimento che progettiamo da tempo e poi ripeterci che “è meglio aspettare un momento più favorevole”, senza mai concretizzarlo. Questi sono tutti esempi dei vari modi in cui tale psicotrappola ci tiene legati. È indifferente se ritardiamo qualcosa perché farlo ci infastidisce, ci annoia, ci costa troppo sacrificio o perché abbiamo paura di non esserne all’altezza: in ogni caso la nostra capacità di fare scelte e di fronteggiare la realtà ne saranno sempre più danneggiate, sino al completo annullamento.

Un Koan giapponese recita “la disposizione all’indugiare annulla la volontà e rende l’uomo pavido”: il rimandare, come un virus, indebolisce lentamente ma costantemente il nostro spirito di  iniziativa e, col tempo, ci rende incapaci sia di prendere decisioni  che di far seguire ad esse azioni effettive.

 Soluzione

  È possibile liberarsi da questa psicotrappola attraverso la paura terapeutica, il mezzo più potente di cui disponiamo per correggere alcuni dei nostri atteggiamenti sbagliati. In pratica, la soluzione consiste nel temere le conseguenze del rimandare, cercando di immaginare gli effetti devastanti che potrebbero conseguirne:

  • Sareste ancora disposti a rimandare la dieta o l’allenamento fisico sapendo che, a breve, la vostra salute potrebbe venirne compromessa?
  • Continuereste a non concentrarvi sull’esame o sul progetto di lavoro se veniste minacciati da una bocciatura o da un licenziamento?
  • Vorreste ancora aspettare il momento ideale per l’investimento che avete in mente se vi dicessero che qualcun altro è pronto a farlo al posto vostro?

Di solito, immaginare il peggiore scenario futuro possibile sblocca dall’immobilismo anche i soggetti più reticenti: mettendo in pratica questa psicosoluzione quotidianamente essa, col tempo, diverrà automatica per la vostra mente, che inizierà a notarne anche gli effetti positivi nella vita di tutti i giorni.  Come spiega Blaise Pascal, “non c’è nulla che non possa essere reso naturale attraverso un esercizio costante”.

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