Non c’è niente di speciale ad essere normali: come vivere liberi grazie all’Eros

vivere liberi

Dicembre 2016: Donald Trump viene eletto 45° presidente degli Stati Uniti, suscitando scalpore in tutto il Paese. Gli americani si dividono a causa delle sue rigide politiche anti-immigrazione e delle sue posizioni conservatrici: lo scorso gennaio, il giorno dopo l’insediamento alla Casa Bianca, in migliaia si riversano nelle strade per aderire alla “Marcia delle donne”, una manifestazione che, da rivendicazione dei diritti femminili, si è trasformata in una vera e propria contro-inaugurazione a sostegno di valori quali anti-razzismo e libertà personale.

 

Il multiculturalismo non è solo un’idea ma una realtà concreta, che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni anche noi: quando vengono costruite moschee o sinagoghe nel nostro quartiere, quando usciamo di casa e incrociamo i vicini in abiti tipici dei loro Paesi d’origine, quando il compagno di banco di nostro figlio parla un’altra lingua e capisce poco l’italiano.

La diffidenza verso ciò che è diverso non si rivolge solo contro persone di altre culture, ma anche contro i nostri concittadini che, per motivi personali, si discostano dalle scelte di vita più comuni: basta pensare alla discussione sulle coppie di fatto che, per mesi, ha infuocato tanto le sedi della vita politica quanto le strade e i talk-show.

Non vi sembra strano che ancora oggi, nel 2017, si senta il bisogno di rivendicare il diritto a manifestare apertamente il proprio modo di essere? Come si spiegano queste contraddizioni?

 

Per capirlo meglio partiamo da alcune riflessioni di Igor Sibaldi sul concetto di “normalità”.

Il concetto di normalità per Igor Sibaldi

Che la normalità sia relativa è ormai un pensiero ampiamente condiviso: ognuno di noi è unico e mosso da desideri, aspirazioni e emozioni diverse da chiunque altro, perciò non può esistere un’idea di normalità comune a tutti, per quanto condivisibile.

Eppure, se la teoria mette tutti d’accordo, i fatti continuano a generare conflitti: in ogni società persistono concezioni talmente radicate da essere percepite come vere e proprie norme di vita a cui attenersi.

Si tratta di stereotipi che ingabbiano la nostra mente, di ruoli che continuiamo a cucirci addosso senza chiederci se ci rispecchiano davvero: il figlio che segue la strada dettata dai genitori solo per soddisfarne le aspettative, la moglie perfetta che smette di dedicare del tempo a se stessa per accudire la prole, il marito modello che soffre di stress pur di adempiere ad ogni richiesta della famiglia, e via dicendo.

Queste norme, che rischiano di entrare in contrasto con la nostra autorealizzazione, possono esserci trasmesse anche inconsapevolmente, ad esempio quando da piccoli facevamo sport.
La pratica sportiva è certamente un’esperienza edificante, che educa a valori fondamentali come l’impegno, la perseveranza e lo spirito di squadra. Tuttavia, in una competizione vi sono anche elementi di stress, in particolare:

  • si ha un obiettivo preciso a cui mirare e bisogna evitare qualsiasi distrazione per riuscirci;
  • si deve arrivare all’obiettivo prima degli altri perché il vincitore è unico: tutti gli altri sono rivali da battere, nemici;
  • è necessario rispettare le regole imposte da un’autorità indefinita, le quali non possono essere messe in discussione.

vivere liberi

 

Se in una sfida questi tre elementi sono necessari per la vittoria, quando essi vengono trasferiti sul piano dell’essere individuale e delle relazioni interpersonali portano a dei conflitti interiori, a causa dei quali l’adolescente limita le proprie emozioni, i propri stimoli, i propri desideri: è così che la società ci rende “sudditi” uniformi e disciplinati, che operano in funzione dell’ordine stabilito.
Non bisogna farsi domande, né cercare soluzioni o opzioni alternative: ci viene solo richiesto di integrarci, ma non di integrarci tra noi, con rispetto e comprensione reciproci, bensì di adattarci seguendo la direzione verso cui tutti remano.

Si può uscire da questa condizione di “schiavitù” mentale?

Secondo Sibaldi sì: per farlo bisogna riscoprire una dimensione psichica comune a tutti nell’infanzia, un’energia insita nell’uomo fin dalla nascita, ovvero l’Eros.

È proprio per merito dell’Eros, infatti, che i bambini sono curiosi di tutto e non si pongono limiti nella scoperta del mondo, di sé e degli altri, privi di pregiudizi e inibizioni. Le loro azioni hanno un solo scopo: ricavare benessere, piacere e felicità da ogni esperienza concreta.

Chi risveglia l’Eros è capace di di liberarsi da convinzioni e ruoli imposti dall’alto: così può realizzare i propri veri desideri e seguire la propria coscienza in totale consapevolezza. In questo modo si aprono all’uomo infinite possibilità: chi si lascia guidare dall’Eros non vede più confini alla sua volontà, alle sue decisioni, ai suoi sentimenti, e sa che nel mondo non ci sono limiti a ciò che vale la pena provare, alle sfide in cui cimentarsi, alle persone con cui confrontarsi, cogliendo da tutto questo continua sorpresa e stupore.

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